Medicina

Coronarie a rischio, la familiarità ha un peso. L’indagine sulle mutazioni salva vite umane

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Le coronaropatie rientrano nel novero delle malattie multifattoriali, in cui convergono più fattori di rischio. Oggi è possibile fare prevenzione in maniera più accurata grazie alle conoscenze acquisite. L’infarto miocardico, infatti, ha una componente ereditaria stimata dal 40 al 60%. Sono noti geni (APOB, LDLR, PCSK9) che, in determinate condizioni, alterano il metabolismo del colesterolo LDL. Individuare portatori di mutazioni nei geni che causano ipercolesterolemia familiare (spesso il sospetto avviene dopo normalissime analisi del sangue significa salvare vite umane. Di questi temi si parlerà a Firenze, al congresso intitolato Conoscere e curare il Cuore, dal 7 al 10 ottobre alla Fortezza da Basso.

 

Esiste anche una modalità di trasmissione familiare, detta poligenica, in cui non si riscontrano mutazioni. Un’altra componente genetica dell’infarto, sia pure in assenza di elevati livelli di colesterolo LDL, detto comunemente colesterolo cattivo, conferisce un rischio di infarto tre volte più elevato, permettendo di individuare soggetti che sfuggono agli screening tradizionali. Questa componente si ritrova nel cosiddetto «score poligenico» per coronaropatie.

 

La disponibilità di dati clinici e genetici di un gradissimo numero di persone ha permesso lo sviluppo di modelli che hanno dimostrato profili di rischio diversi attraverso il calcolo del punteggio di rischio poligenico (in gergo tecnico, Polygenic Risk Score – PRS). Le applicazioni di questi concetti, attraverso la stima della componente genetica dell’infarto del miocardio, hanno reso possibile identificare persone che altrimenti sfuggono alla prevenzione.

 

Anche i progressi effettuati nel campo della diagnostica per immagini hanno permesso di identificare individui a rischio per il cuore, per esempio attraverso analisi di eco doppler delle carotidi o di «calcium score» delle coronarie. In caso di rischio intermedio il PRS può quindi essere utilizzato come campanello d’allarme, visto che è capace di identificare il 20% della popolazione con rischio di infarto di gran lunga superiore. Sono argomenti tecnici per addetti ai lavori, come si vede, ma la conoscenza di questi meccanismi permette ai medici oggi di fare una prevenzione cardiologica più efficace e di scongiurare quadri drammatici.

 

 

CARDIOPATIE: Percorsi di recupero dopo una degenza

 

Dopo un infarto, un episodio di aritmia, un deficit vascolare o cardiorespiratorio, terminato il ricovero in cardiologia, occorre essere aiutati a riprendersi per tornare alla proprie occupazioni. Per questo esistono centri di riabilitazione, percorsi educazionali promossi dalle organizzazioni di volontariato collegate a Conacuore, programmi multidisciplinari come Abcardio, dove sia possibile un approccio clinico graduale sotto controllo medico. La palestra rieducativa, collegata agli strumenti che monitorano lo sforzo in presenza di operatori qualificati, aiuta recuperare le potenzialità, vincere la paura delle ricadute, per tornare a vivere una vita piena rimuovendo i fattori di rischio cardiovascolare

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