Medicina

Cancro mammario, sodalizio tra chirurgia e oncologia

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Importanti passi avanti sono stati fatti nella ricerca sul cancro mammario, ma ci sono ancora margini di miglioramento da conquistare nelle forme più insidiose. Quale strategia adottare, in particolare, nei casi di tumore mammario triplo negativo? Come si sposa la cosiddetta terapia neuadiuvante con il programma operatorio vero e proprio? Ne parliamo con Paolo Veronesi, ordinario di chirurgia generale all’Università di Milano, direttore del programma senologia all’Istituto Europeo di Oncologia (IEO)di Milano.

 

Professor Veronesi, come avviene la tipizzazione del tumore al seno prima dell’intervento chirurgico?

«Partiamo dal sospetto radiologico o clinico di tumore della mammella: la paziente in questi casi viene sottoposta normalmente ad agobiopsia, ricaviamo da questo esame informazioni superiori rispetto all’agoaspirato, in modo da distinguere meglio le forme invasive. Con l’agobiopsia, con prelievo di frustoli di tessuto, abbiamo l’esame istologico e la caratterizzazione biologica delle neoplasie infiltranti».

 

Quale il ruolo del chirurgo, e come si inquadra la terapia neoadiuvante nel trattamento del tumore al seno triplo negativo?

«La chirurgia mantiene un ruolo essenziale nel carcinoma triplo negativo, e rispetto al passato si interviene più spesso dopo un trattamento di chemioterapia neoadiuvante. Storicamente questa aveva lo scopo di ridurre le dimensioni della massa, per rendere possibile un intervento limitato, invece della mastectomia. Oggi la chemioterapia neoadiuvante, oltre a ridurre le dimensioni del tumore, ci consente di negativizzare eventuali linfonodi positivi, in modo da essere conservativi anche a livello del cavo ascellare, e di valutare visivamente la risposta della chemioterapia sul tumore. Quest’ultimo punto in particolare ha un risvolto prognostico importante perché ci permette di modulare la terapia adiuvante dopo l’intervento chirurgico, aggiungendo un eventuale trattamento chemioterapico per via metronomica, cioè con assunzione orale, in base alla risposta che si è avuta alla chemioterapia tradizionale preoperatoria».

 

Quali altri vantaggi può comportare la chemioterapia neoadiuvante?

«Nei tumori triplo negativi, che sono anche caratterizzati da una maggior percentuale di mutazioni genetiche nelle pazienti, il trattamento chemioterapico prima dell’intervento ci consente anche di avere il tempo per un approfondimento genetico, e questo vale soprattutto nel caso di pazienti di giovane età, portatrici o meno di mutazione. Sappiamo che è molto importante, prima di procedere all’intervento chirurgico, avere a disposizione una puntuale caratterizzazione istologica e molecolare del tumore».

 

Quanto incide la collaborazione tra l’oncologo e il chirurgo?

«Questa collaborazione è basilare, in particolare nei casi di tumore triplo negativo, perché tumori molto piccoli possono andare subito a intervento, mentre tumori di dimensioni più significative, sopra di 1-2 centimetri di solito vengono inviati prima al medico per un trattamento pre-operatorio. È chiaro che occorre avere i dati precisi perché esistono anche tumori triplo-negativi che non sono invece candidati a chemioterapia: pensiamo ad esempio al carcinoma midollare tipico, un tumore triplo negativo che ha buona prognosi e che non necessita di chemioterapia. Per questo occorre avere in partenza una caratterizzazione istologica e biologica molto affidabile, come dicevo all’inizio».

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