Giovedì 18 Aprile 2024

Patrick è già uno di noi Aiutiamolo

Lorenzo

Guadagnucci

La storia dei diritti umani nel mondo insegna che la concessione della cittadinanza italiana a Patrick Zaki ha una sua prima ragion d’essere: aiuterà il detenuto a sopportare la tortura psicologica cui è sottoposto, con i processi farsa che si ripetono ogni 45 giorni. Innumerevoli prigionieri di coscienza – anche i più famosi, da Vaclav Havel e Andrej Sacharov a Nelson Mandela – hanno testimoniato una volta liberati l’importanza del sostegno attivo dall’esterno, solo in apparenza velleitario. Sapere che i concittadini agiscono, che enti e istituzioni compiono passi formali verso governi e carcerieri, per il detenuto è un sostegno vitale: aiuta a resistere, a non disperare. Tanto basterebbe per dire sì alla richiesta dei familiari di Patrick. Ma c’è un’altra cosa che abbiamo imparato dalla lotta per i diritti umani. Nessuna dittatura è impenetrabile, nessun autocrate è un’isola autosufficiente, nessuna autocrazia è per sempre. Anche l’Egitto ha bisogno di relazioni con l’occidente, non meno che viceversa (e semmai ci sarebbe qualcosa da dire sulla debolezza mostrata dall’Italia nella vicenda di Giulio Regeni). Le pressioni internazionali in difesa dei dissidenti sono praticate dalle democrazie perché rafforzano le opposizioni interne ai regimi autoritari e perché spesso funzionano: il generale Al Sisi può, anzi deve essere messo nelle condizioni di concedere qualcosa. C’è un’ultima ragione per accogliere Patrick Zaki fra gli italiani: lui è già uno di noi; Bologna è la sua città, il luogo dove tornerà appena sarà libero.