Stresa, il paese incredulo: siamo stati traditi. "Sulla funivia potevamo esserci noi"

Tutti conoscono Nerini e gli altri indagati: una vergogna quello che hanno fatto, una macchia per chi vive qui

I soccorritori sul luogo della sciagura che domenica ha causato quattordici vittime (Ansa)

I soccorritori sul luogo della sciagura che domenica ha causato quattordici vittime (Ansa)

Tra sole e nubi, Stresa. Tra lago e montagna. "Io guardo il lago", dice Giuseppe, in paese più noto come ’Geffo’, mentre fuma, seduto al tavolo del Lido Blu, il suo ristorante. "Perché se guardo la montagna mi vengono i brividi". Qui 'La Montagna' è una sola: il Mottarone. I brividi, invece, sono tutti per quello che è accaduto domenica e per quanto si è appreso a proposito di quell’incidente. Sono tutti, quei brividi, per le 14 vite perse nel precipitare di una cabina di una funivia che, per Luigi Nerini, il suo proprietario e per i suoi più stretti collaboratori, Enrico Perotti e Gabriele Tadini, come riscostruito dagli inquirenti, non poteva proprio fermarsi sebbene fossero emersi malfunzionamenti e anomalie.

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"Il valore della vita svilito per il Dio Denaro": scuote il capo, Geffo. Uno solo il Mottarone ed uno solo il lago. Da queste parti l’uno e l’altro, nel recente passato, chiamavano i ragazzi ad una scelta: "A 16 anni qui avevi due strade: o andavi a lavorare su al Mottarone o andavi coi barcaioli", racconta Pierangelo Bellossi, classe 1958. Lui scelse il primo, andò a lavorare negli impianti sciistici. "E ci andavo con la funivia – racconta –, come tutti quanti. Per noi, qui, quella funivia è più di un servizio: fa parte del paesaggio". Proprio come la montagna, proprio come il lago. Per questo oggi a Stresa in tanti si sentono traditi. "Su quella funivia hanno viaggiato più volte i miei figli: fa specie pensarci ora", dice Alessandro, 40 anni, barista.

"Siamo scosse perché quella funivia l’abbiamo usata anche noi, la usano tutti i weekend i nostri amici – confermano Giulia e Melania, 22 e 21 anni, studentessa di Psicologia la prima, barista la seconda, mentre passeggiano sul lungolago –. Quando cose così ti accadono sotto il naso, è uno choc. Questa vicenda lascerà il segno". "Prima i soldi, poi le persone – sottolinea Melania, quasi ringhiando –: una scelta, una scelta consapevole, una scelta umanamente di m...". Come Geffo anche Bellossi oggi fa il ristoratore, in centro storico. Ma non vede differenza tra quel lavoretto di gioventù sul Mottarone e il lavoro che poi ha scelto per la vita. Nell’uno come nell’altro c’è, a suo dire, tutto il Dna degli stresiani: "La maggior parte di noi, qui a Stresa, vive di turismo e turismo significa ’servizio alle persone’, il ’servizio’ è il nostro pane quotidiano. Qui il turista o il cliente sono la priorità: scelte come quelle che sono state compiute ultimamente sulla funivia per noi sono fuori dal mondo".

Fuori dal Dna della comunità. Lo dice anche Enzo, che gestisce con il padre e la madre il bar della stazione ferroviaria: "Stresa è un paese di cuore. È un paese di imprese famigliari e di imprenditori che tengono ai propri dipendenti e alla propria gente. Per questo nessuno poteva mai immaginare che qualcuno potesse comportarsi in questo modo". E se è vero che Nerini è di Baveno, Tadini invece è proprio di Stresa. Ha fatto le scuole elementari insieme a Pierangelo: "Un bravo ragazzo, cresciuto in una famiglia che tiene alle regole, una famiglia con la cultura del lavoro. Ma la mente dell’uomo segue il bisogno – sospira il ristoratore, quasi rassegnato –. E forse questa pandemia ha esasperato il bisogno di tanti".

Anche Alessandro chiama in causa la crisi provocata dalla pandemia. Ma senza fare sconti: "La scelta di disattivare i freni di emergenza è una vergogna. Una vergogna figlia, forse, anche dei problemi provocati del Covid. Ma pur sempre una vergogna". Pure Alessandro conosce Tadini perché è amico del nipote: "Una persona tranquilla. Davvero inspiegabile". Di Luigi Nerini manco a chiedere: è raro trovare chi non lo conosca. Un tipo sempre attento ad apparire nel modo giusto, a quanto pare. Geffo, a fine chiacchierata, racconta che sul Mottarone è solito andare a funghi, ma che oggi come oggi non sa quando ci tornerà: "Andavo proprio lì, dove è precipitata la cabina". Più dei suoi funghi, ora, lo preoccupa il futuro della montagna: "Stresa non risentirà di questa brutta storia. Ma il Mottarone sì. In quanti vorranno salire su quella funivia quando riaprirà?". E in serata si è fatta sentire il sindaco Marcella Severino: "Qualcuno si è permesso di dire che l’amministrazione di Stresa e la comunità intera sapevano di questo modus operandi per la funivia: è intollerabile, inqualificabile ed è mio dovere tutelare l’immagine mia, della mia città e dei miei cittadini nelle sedi opportune". Parole riferite ad alcune indiscrezioni circolate su Internet.