"Sì, abbiamo tolto i freni alla funivia". Gli arrestati: causavano troppi intoppi

Gestore e tecnici non volevano rinunciare all’incasso, circa 12.600 euro. Il pm: "Confidavano nella sorte"

I resti della cabina della funivia del Mottarone (Ansa)

I resti della cabina della funivia del Mottarone (Ansa)

L’inserimento dei forchettoni anche a funivia funzionante non è stato frutto di un errore umano ma di "una scelta consapevole, condivisa e non limitata a domenica". Una scelta dettata dalla volontà di evitare il vulnus economico che la sospensione del servizio della funivia Stresa-Mottarone avrebbe inevitabilmente comportato. Questo è quanto ha ricostruito ieri Olimpia Bossi, procuratore di Verbania, titolare delle indagini sul gravissimo incidente verificatosi proprio domenica sull’impianto di risalita che unisce lago e montagna e costato la vita a 14 persone. Parole, le sue, rilasciate dopo una notte di interrogatori e ammissioni alla caserma dei carabinieri di Stresa. E dopo aver emesso tre provvedimenti di fermo.

Ad aver condiviso la scelta di lasciare i forchettoni sulla parte alta del carrello della cabina della funivia sono stati, secondo gli inquirenti, Luigi Nerini, proprietario ed amministratore unico della Ferrovie del Mottarone, la società che gestisce l’impianto di risalita, e due suoi collaboratori: Enrico Perocchio e Gabriele Tadini, nell’ordine direttore e capo operativo del servizio. Il legale del primo, però, smentisce: "Perocchio nega di aver autorizzato l’utilizzo della cabinovia con i forchettoni inseriti e di aver avuto contezza di simile pratica, che definisce suicida". E, precisa ancora il legale, è in stato di fermo "senza essere neppure stato sentito".

Da Tadini sono invece arrivate ammissioni relative alla presenza dei forchettoni. Ad ogni modo pare che quei forchettoni fossero inseriti anche nei giorni precedenti a domenica. Perché una simile decisione? Perché i malfunzionamenti di cui l’impianto dava segno si sarebbero potuti risolvere solo interrompendo le corse e quindi rinunciando agli incassi dei biglietti, una rinuncia che si è evitato di fare per non mettere a rischio l’incasso della domenica, un incasso che di questi tempi, nella più ottimistica delle ipotesi, non va oltre i 12.600 euro al giorno se si considera che le 4 cabine, due per ogni direzione, devono effettuare le 21 corse, per tratta, dell’orario estivo viaggiando a capienza ridotta (15 persone anziché 40) per effetto delle norme anti-Covid e il biglietto di andata e ritorno per gli adulti costa 20 euro.

In un interrogatorio durato quattro ore Tadini ha detto che "quella cabina aveva problemi da un mese o un mese e mezzo" e che per cercare di risolverli sono stati effettuati "almeno due interventi tecnici". Tadini avrebbe anche spiegato: "La preoccupazione era il blocco della funivia. Stavamo studiando quale poteva essere la soluzione per risolvere il problema".

Per tutti e tre, ieri, è stato emesso un provvedimento di fermo. La convalida del gip è attesa per oggi. A loro carico si ipotizzano i reati di omicidio colposo e plurimo ma anche il reato previsto all’articolo 437 del Codice Penale: la rimozione di sistemi finalizzati a prevenire infortuni o disastri. Il riferimento è, come ovvio, ai forchettoni: piastre di metallo utilizzate per impedire che entrino in funzione i freni di emergenza. Se tali freni fossero stati attivi, la cabina sarebbe rimasta attaccata al cavo fisso della funivia senza precipitare nel vuoto. L’indebita presenza dei forchettoni è, però, una concausa del disastro: resta infatti da capire perché abbia ceduto il cavo trainante.

FOCUS / Perché si è rotta la fune? Le ipotesi degli esperti

"Sulla fune non possiamo avanzare ipotesi. Siamo in attesa di verifiche tecniche e il consulente dovrebbe arrivare domani (oggi, ndr)", si limita a dire il procuratore. Il primo forchettone era stato individuato martedì, il secondo ieri durante un’ispezione sul luogo in cui è precipitata la cabina. Nel dettaglio, il procuratore Bossi ha parlato di "un gesto materialmente consapevole", di una "scelta non di un singolo, ma condivisa", di un "comportamento sconcertante" perché per i tre fermati la priorità sembra sia stata quella di "evitare continui disservizi e blocchi" mentre "l’anomalia necessitava di un intervento più radicale". Evidentemente i tre, dice il procuratore, "confidavano nella buona sorte". E con la "convinzione che mai si sarebbe tranciato il cavo, si è corso il rischio" più volte anche prima di domenica. E più volte "erano stati richiesti ed effettuati interventi tecnici per rimediare ai disservizi, ma non erano stati risolutivi".

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