Funivia Mottarone: tre fermi, presto altri nomi. "Freno disattivato per aggirare anomalia"

Tra i fermati anche Luigi Nerini, gestore dell'impianto. La pm parla di "gesto consapevole". Trovato un secondo 'forchettone', che impediva al sistema di sicurezza di attivarsi. Gli inquirenti: "Hanno ammesso. Sottovalutata la gravità dell'azione". Ma il direttore dell'impianto nega ogni responsabilità

La cabina precipitata e i fermati Luigi Nerini ed Enrico Perocchio (Ansa/ImagoE)

La cabina precipitata e i fermati Luigi Nerini ed Enrico Perocchio (Ansa/ImagoE)

Roma, 26 maggio 2021 - Ci sono tre fermi nell'inchiesta della Procura di Verbania sull'incidente del Mottarone, nel quale sono morte 14 persone. Tra i fermati figura Luigi Nerini, proprietario della Ferrovie del Mottarone. Poi il direttore dell'esercizio Enrico Perocchio e il capo operativo del servizio Gabriele Tadini. Le accuse nei loro confronti sono omicidio colposo plurimo, disastro colposo e rimozione degli strumenti atti a prevenire gli infortuni aggravato dal disastro e lesioni gravissime. Nel mirino delle indagini il sistema del freno d'emergenza. Le tre persone hanno commesso "un gesto materialmente consapevole", ha detto il procuratore della Repubblica, Olimpia Bossi, al termine degli interrogatori, spiegando che sulla cabina precipitata è stata messa la 'forchetta', ovvero il dispositivo che consente di disattivare il freno, e non è stata rimossa.

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Intanto un secondo 'forchettone' è stato ritrovato dopo lunghe ricerche questa mattina nella zona dell'incidente. Era a terra semicoperto dal pannello della centralina elettrica, ha spiegato il soccorso alpino. Ma, secondo quanto si apprende in ambienti legali, potrebbero esserci presto altri indagati: gli inquirenti stanno infatti valutando la posizione di altre persone anche in vista della consulenza tecnica che verrà disposta con la forma dell'accertamento irripetibile.

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Usato forchettone per evitare stop dell'impianto

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L'analisi dei reperti ha permesso agli inquirenti che indagano sull'incidente di accertare che "la cabina precipitata presentava il sistema di emergenza dei freni manomesso", ha spiegato Olimpia Bossi, secondo cui il 'forchettone' non è stato rimosso per "evitare disservizi e blocchi della funivia. Il sistema presentava delle anomalie e avrebbe necessitato un intervento più radicale con un blocco se non prolungato consistente". Così, per ovviare allo stop che avrebbe comportato la perdita di soldi, gli indagati indagati avrebbero deciso di ''manomettere il sistema di sicurezza''. E ancora viene sottolineato che i tre fermi sono "uno sviluppo consequenziale, molto grave e inquietante, agli accertamenti che abbiamo svolto. Nella convinzione che mai si sarebbe potuto verificare una rottura del cavo si è corso il rischio che ha purtroppo poi determinato l'esito fatale".

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I tre fermati "hanno ammesso"

Hanno "ammesso", ha affermato il comandante provinciale dei carabinieri di Verbania, tenente colonnello Alberto Cicognani: "Il freno non è stato attivato volontariamente? Sì, sì, lo hanno ammesso", ha detto l'ufficiale dell'Arma ai microfoni di Buongiorno Regione, su Rai Tre. E anche lui ha ribadito: "C'erano malfunzionamenti nella funivia, è stata chiamata la manutenzione, che non ha risolto il problema, o lo ha risolto solo in parte. Per evitare ulteriori interruzioni del servizio, hanno scelto di lasciare la 'forchetta', che impedisce al freno d'emergenza di entrare in funzione". I tre fermati "hanno sottovalutato la gravità dell'azione che stavano portando avanti", ha detto ancora Cicognani, spiegando che "ciascuno di loro sentiva la responsabilità di quello che è accaduto, una cosa che ha rovinato non solo la vita delle famiglie delle vittime ma anche quella degli operai che lavorano per la funivia". "Le indagini proseguiranno - ha detto ancora - perché dobbiamo individuare il motivo per cui il cavo si è spezzato. Se sia una seconda anomalia o una coincidenza o sia collegato al malfunzionamento, che ha portato alla disabilitazione del freno".

Il direttore dell'impianto Perocchio nega

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In realtà, secondo il suo legale, il direttore dell'impianto nega tutto. "L'ingegner Perocchio nega categoricamente di aver autorizzato l'utilizzo della cabinovia con i 'forchettoni' inseriti e anche di aver avuto contezza di simile pratica, che lui definisce sucida", dice all'Ansa il legale Andrea Da Prato dopo un incontro con il direttore d'esercizio della funivia Stresa-Mottarone. "Nessun operatore di impianti a fune - ha ribadito mio cliente - sarebbe così pazzo di montare su una cabina con le pinze inserite" (ovvero il freno d'emergenza disattivato, ndr.), ha aggiunto l'avvocato.

Come ha ribadito Da Prato, "l'ingegner Perocchio, durante la sua lunga carriere professionale, ha sempre osteggiato tale pratica, che può essere attivata esclusivamente in fase di installazione e comunque solo con le cabine vuote". "Neanche gli addetti ai lavori possono trovarsi nella cabine, per ciò il peso dei passeggeri viene simulato con taniche d'acqua. Le pinze sono infatti colorate, proprio per saltare all'occhio, quando sono montate". L'ing. Perocchio dunque "respinge in radice le accuse e sconfessa la deposizione" fatta da Gabriele Tadini, il responsabile del funzionamento della Funivia del Mottarone. "Il mio cliente ha appreso della possibile presenza dei forchettoni da una brevissima e concitata telefonata fatta da Tadini domenica alle ore 12.09. Tadini ha detto 'Ho una fune a terra e ho i ceppi su'. L'ingegnere a questo punto capisce che parla delle pinze, ma - incredulo di apprendere come si possa attivare l'impianto in queste condizioni - non ha neanche il tempo di rispondere che la telefonata finisce. A questo punto sale in macchina e si reca al luogo dell'incidente". "Siamo in attesa che l'udienza di convalida sia fissata e di vedere se Tadini ripeterà quanto sostenuto anche davanti al giudice", ha concluso l'avvocato. 

Tadini: le 4 ore di interrogatorio 

"Quella cabina aveva problemi da un mese o un mese e mezzo" e per cercare di risolverli sono stati effettuati "almeno due interventi tecnici", ha invece ammesso durante l'interrogatorio Gabriele Tadini, il capo servizio responsabile del funzionamento della Funivia del Mottarone fermato nella notte. E ancora: "La preoccupazione era il blocco della funivia. Stavamo studiando quale poteva essere la soluzione per risolvere il problema" al sistema frenante di sicurezza. Tadini ha parlato per almeno 4 ore e ha riempito, come è stato riferito, parecchie pagine di verbale. "In carcere prega molto, è sereno", spiega il difensore di Tadini, l'avvocato Marcello Perillo' che ha incontrato il suo assistito per circa due ore nel carcere di Verbania. 

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La cabina della funivia del Mottarone. Nel riquadro il "forchettone"

"La funivia presentava anomalie da giorni"

Ripartita da circa un mese, dopo lo stop a causa della pandemia, la funivia "era da più giorni che viaggiava in quel modo e aveva fatto diversi viaggi", ha precisato ancora il procuratore. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, dalla ripresa del servizio l'impianto presentava delle "anomalie". Problemi presenti "anche prima, quando la funivia veniva attivata solo per manutenzione o servizi che non comportavano il trasporto dei passeggeri". Poi, quando le misure anti Covid sono state allentate e si è tornati alle attività normali, "questi incidenti si sono verificati con cadenza se non quotidiana comunque molto frequente. Erano stati richiesti ed effettuati interventi tecnici per rimediare ai disservizi, ma non erano stati risolutivi - ha sottolineato Bossi -. Così si è pensato di rimediare". In seguito ai disservizi "ci sono stati due interventi. Quello del 3 maggio è uno dei due che sono stati richiesti, ma evidentemente non sono stati risolutivi".

"Da quando l'impianto è stato riaperto, il forchettone è stato inserito più volte per bypassare i problemi che il sistema stava dando. Non è stato il primo giorno in cui era inserito"., ha proseguito il procuratore di Verbania.  Il forchettone ha impedito alle ganasce frenanti poste sulla fune portante della cabinovia di entrare in azione.  "Sabato la funivia si è fermata e posso pensare che il fatto si inquadri in questa vicenda", ha aggiunto la pm. 

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La polemica

"Ci hanno detto che si sarebbero fatti i funerali di Stato e che avrebbero pensato a tutto loro, poi si sono rimangiati tutto, negandosi al telefono - dice Corrado Guzzetti, zio di Mattia e Angelica, figli di Vittorio Zurloni, il 55enne di Vedano Olona (Varese) morto nella tragedia con la compagna Elisabetta Persanini e al figlio Mattia - Sono amareggiato per me e per i miei nipoti e voglio smascherare a nome di tutte le vittime queste promesse da marinaio fatte dalla politica". E Angelica Zorloni rincara: "Me li avete ammazzati e a questo, mi spiace, non ci sarà mai nessun tipo di perdono".  E Guzzetti si sfoga ancora: "Fa schifo pensare che siano morti per i soldi, sempre i soldi stanno dietro a tutto". E affonda: "Dove sono gli aiuti? Delle belle parole dette per tenerci buoni non ce ne facciamo niente", ha aggiunto, spiegando che "l'unica vicinanza sincera è stata quella dell'Arma dei Carabinieri, soprattutto di Stresa e Verbania. Il resto è la solita politica scaricabarile".

La sindaca: "E' il nostro 11 settemrbe"

"Un altro colpo al cuore. Sono basita". Così la sindaca di Stresa, Marcella Severino,  all'Agi, dopo il repentino sviluppo delle indagini. "E' una cosa terribile - ha aggiunto - era già nell'aria da ieri che il cerchio si stava chiudendo. L'unica nota positiva è che la macchina, anche quella delle indagini, ha funzionato bene e celermente, lo dovevamo a quelle persone". Il pensiero della sindaca va, infine, anche ai lavoratori e alle famiglie di quanti lavorano nella funivia: "E' una cosa terribile". Ancora: "E' il nostro 11 settembre", dice prima di raggiungere la chiesa dove si svolge una messa in suffragio delle vittime.