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In memoria di Furia ForghieriLeo Turrini - 2 novembre 2022

Grazie per le parole che avete speso per Mauro Forghieri.
Come alcuni tra voi sanno, Furia per me non era solo un pezzo di Storia.
È diventato uno degli amici più cari. Non abbiamo mai smesso di progettare cose insieme: a dicembre avevamo in programma un incontro con gli studenti di Bologna.
Credo che mi sentirò solo come mai prima.
Di seguito pubblico i testi miei che appaiono oggi su Carlino, Nazione e Giorno. Il primo apre la sezione culturale del giornale, perché Mauro è stato molto più di un ingegnere, per chi capisce il senso della vita.
Il secondo appare sulla edizione modenese del quotidiano, perché Modena per noi e qui mi fermo, non credo di riuscire a spiegarmi, era una cosa nostra.
TESTO UNO

Non fate alla memoria di Mauro Forghieri il torto di ricordarlo “soltanto” per le grandi imprese della Ferrari. È vero, sotto la sua guida, tra il 1962 e il 1984, la Rossa ha trasformato la cronaca in leggenda. Vincendo in F1 con personaggi da film come Niki Lauda e Gilles Villeneuve, nonché dominando per la disperazione di Henry Ford le “classiche” di durata, da Le Mans a Daytona (e anche su questo Hollywood ci ha fatto un film, con Chris Bale e Matt Damon).
No. Mauro Forghieri, spentosi ieri a 87 anni nella periferia della sua amatissima Modena, è stato ben più di un formidabile ingegnere da corsa, celebrato con commozione da Luca Cordero di Montezemolo (“Gli devo tantissimo”) e da Piero Ferrari (“Mio padre intuì subito il suo eccezionale talento”).
A ben vedere, “Furia”, come lo chiamavano i meccanici ai box per certi scatti d’ira, ha rappresentato l’Italia migliore del Novecento. Non sto esagerando: era una Italia in cui l’ascensore sociale funzionava ancora e il merito non era una banale etichetta da ministero, ma un obiettivo da tutti condiviso.
Figlio di Reclus, operaio della primissima Ferrari, capo partigiano nei giorni crudeli della Guerra Civile (nella sua fabbrica Ferrari gli permetteva di confezionare i chiodi che facevano saltare le gomme dei camion nazisti), Mauro si era laureato in ingegneria trasformando la passione di famiglia per la meccanica in cultura tecnologica. E siccome era bravo, nel 1962 il Drake gli aveva messo in mano, a lui non ancora ventisettenne!, l’intero reparto corse del Cavallino.
Provate ad immaginare una cosa del genere nel Bel Paese di oggi. Trovatemi una azienda tricolore famosa nel mondo (la Ferrari già allora tale era) pronta nel 2022 ad affidarsi ad un Under 30. Semplicemente perché è bravo e dunque non esistono gerarchie dettate dalla anagrafe o imposte dalla burocrazia.
Ecco, Forghieri ha incarnato tutto questo. È stato un volto dell’Italia del Boom, quello sano e non malato alla radice. Amava i Beatles e i Rolling Stones, anche se poi si è perdutamente innamorato di Betta, ragazza di Monghidoro, conterranea di Gianni Morandi.
E ancora Forghieri, ingegnere creativo dagli alettoni al cambio trasversale, non si è mai seduto sugli allori. Quando a metà degli anni Ottanta lasciò le Rosse perché aveva capito che un’era si stava chiudendo, Lee Jacocca, il manager adorato da Ronald Reagan, lo volle a tutti i costi alla Lamborghini, allora controllata dalla Chrysler non ancora targata Fiat. Mauro andò e tra mille idee gli parve il caso di anticipare il futuro: nel 1990 ideo’ e realizzo’ un van (allora li chiamavamo banalmente furgoni) spinto da batterie. Tutto elettrico, niente motore termico, zero inquinamento. Quasi un tradimento, per l’ingegnere che aveva reso leggendario il potentissimo 12 cilindri della Ferrari, per tacere del turbo. Jacocca guardò, ammirò e infine disse: Mauro, tu sei troppo avanti, meglio aspettare…
È stato tutto vero, è andata proprio così. Forse anche perché dietro e dentro il Genio c’era un uomo buono. Quando nel 1976 in Giappone Niki Lauda, reduce dal rogo del Nurburgring , perse un mondiale ritirandosi per paura della pioggia, Forghieri gli si avvicinò e gli disse: Niki, dirò che si è rotta la macchina e mi prenderò io la colpa, la tua immagine sarà salva. Lauda, che era un gigante come Furia, rispose: no, devi dire la verità.
E rimasero amici per sempre.
TESTO DUE

Eravamo in piazza a Fiorano, fine maggio scorso. Luigi Giuliani e Francesco Tosi, il sindaco del Comune, avevano organizzato una serata per i 50 anni del circuito cittadino. A me spettava l’onore di intervistare l’avvocato Montezemolo e Mauro Forghieri, che di quella pista ben potevano essere considerati i papà, naturalmente insieme al Drake. C’era talmente tanta gente che ci sembrava di essere a un concerto rock.
Forghieri aveva gli occhi lucidi. Si giro’ verso di me e mi sussurrò all’orecchio: “Quasi quasi mi convinco di aver fatto qualcosa di buono, nella vita!”
Qualcosa?!? Ma per carità, qui stiamo parlando di un grande cittadino del mondo, di un grande italiano e infine e forse soprattutto di un grande modenese.
Sissignore. Questo è stato il mio amico Mauro, uno che era diventato come uno di famiglia, uno zio tenerissimo sempre a disposizione per qualunque mia strampalata iniziativa: un uomo della Ghirlandina, un cosmopolita attaccato visceralmente alle radici, un ingegnere ammirato in ogni continente che però, alla fine della fiera, invocava il diritto di esprimersi in dialetto.
Ah, Mauro! Quanti viaggi, quanti convegni, quante serate. Il popolo dell’automobilismo pendeva dalle sue labbra e lui non se la tirava mai, aveva in mente le origini, Modena, la nebbia di una volta, il tortellino e lo zampone. Possedeva una cultura straordinaria, aveva conosciuto capi di stato e rockstar, ma mi diceva “Cat vegna un cancher” se lo riportava a casa tardi dalla sua amatissima Betta, nel verde di Magreta. Nella casa dove si è spento nel sonno, perché, benedetto lui, è stato sempre in anticipo sui tempi, si trattasse di inventare un alettone o di realizzare un dodici cilindri dotato di cambio trasversale.
Credo sinceramente che ad esaltarne la grandezza sia stata una umiltà vagamente contadina cui aveva deciso di non rinunciare. Suo padre Reclus era stato uno dei primi operai di Ferrari e può darsi che il ricordo di quel genitore dalle mani callose avesse spinto Enzo a puntare sul figlio neo laureato, quando decise di affidargli il reparto corse del Cavallino. Era il 1962 e Mauro aveva si e no ventisei anni…
Quando hai alle spalle una storia così, con mille prodigi tecnologici sparsi non solo in Ferrari ma anche altrove, in Lamborghini e non solo, beh, potresti crogiolarti nella adulazione di massa.
Forghieri invece no, suppongo per merito di Betta, che lo mandava a fare la spesa e gli intimava di tenere pulito il giardino. Forghieri no, esprimeva una semplicità talvolta persino commovente. E se gli parlavi di Modena e della sua terra gli si illuminava lo sguardo.
Ad un certo punto Muzzarelli, il sindaco, decise che ad concittadino tanto famoso dovessero essere tributati i massimi onori amministrativi, con tanto di pubblica celebrazione. Lui mi telefonò e mi chiese: ma non staranno esagerando? In fondo ho soltanto progettato automobili! Gli spiegai che Modena e il mondo avevano fortunatamente una idea più alta di lui medesimo e andò a finire che accettò, ponendo come unica condizione che fossi io ad illustrare la sua storia. “E an fer menga l’esen”, concluse ridendo.
Beh, credo si sia capito che non sto scrivendo di un Vip, di un Big, di una Star. Sto scrivendo di un uomo vero, che nella vita ha conosciuto come tutti gioie e dolori, un uomo che ha amato ogni momento della sua esistenza, uno che era un genio e lo sapeva ma non te lo faceva pesare. Spero tanto che il comune amico Ennio Cottafavi riesca a realizzare un antico progetto dedicato a Mauro: sarebbe il giusto tributo della sua Modena ad un suo eroe.
Ps. Una volta eravamo a cena e gli offrirono una bottiglia di Magnum per brindare a non so cosa. Lui tirò fuori una penna e sulla etichetta disegnò la Ferrari di Gilles Villeneuve. Me la allungò, la bottiglia, e disse: “È per te, Leo”.
Non la aprirò mai.