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Imola e AlboretoLeo Turrini - 14 aprile 2021

Imola e Alboreto.
Quaranta anni dopo.
Era la primavera del 1981. Da giovanissimo appassionato, mi incuriosì la notizia che Ken Tyrrell aveva deciso di far debuttare un ragazzo italiano sulla sua monoposto.
Da lontano, io avevo un debole per Ken.
Mi aveva mandato nei matti la sua macchina con sei ruote. Aveva qualcosa di onirico. Perché c’è stato un tempo, molto remoto!, in cui la Formula Uno alimentava i sogni.
E poi ricordavo Stewart e il povero Cevert sulle vetture di Ken il boscaiolo.
Di Alboreto sapevo quello che scriveva la stampa specializzata.
Lo avrei conosciuto di persona anni dopo, quando Michele era vestito di Rosso.
Lo dico qui e ora: secondo me, Alboreto come pilota era un grande. I custodi della memoria, me compreso, non gli hanno reso abbastanza omaggio.
Succede, se il tuo nome manca nell’albo d’oro.
A Imola, 40 anni fa, Michele non finì la corsa, complice, se non ricordo male, una collisione con l’amico Gabbiani.
Ma fece in tempo a regalare a Tyrrell le ultime due vittorie del team, una a Las Vegas e l’altra a Detroit.
Poi venne in Ferrari. Gli parlai per la prima volta nel piccolo cinema di Maranello. Era la fine del 1983. Lui era appena arrivato e ci fu una cerimonia per il passaggio di consegne tra lui e Tambay, a sua volta presente. C’era pure il confermato Arnoux.
Allora certe gentilezze erano ancora praticabili, così come era ammesso (e non temuto!) il contatto con il popolo.
Dell’Alboreto ferrarista molto è stato detto, talvolta anche a sproposito. Il Drake gli voleva bene e lo aveva voluto a tutti i costi. Ma Enzo ormai era molto anziano e non controllava più la situazione.
Sia come sia, nel 1985 Michele andò vicino al titolo. Lo perse contro Prost anche per misteriosi azzardi tecnologici, roba di forniture vagamente farlocche, cose così.
Ma mi colpì molto un dettaglio. A inizio stagione, Alboreto aveva promesso una vacanza al mare dei Caraibi, tutta pagata, alla gente della squadra. Come premio per l’eventuale conquista del mondiale.
Il mondiale lo vinse la McLaren, ma Michele mandò comunque in vacanza, di tasca sua, i meccanici. Spiegò: fosse stato per voi, ce l’avrei fatta.
Questo era il personaggio. Non sempre solare, talvolta brusco, ma autentico.
Diventammo amici nella fase finale della sua carriera. Nell’agosto del 1993, mi concesse una intervista nel quinto anniversario della scomparsa di Ferrari. Da qualche parte debbo avercela. Non sbaglierei a ripubblicarla: per merito suo, era bellissima.
Poi venne il 2001 e fra un po’ saranno vent’anni.
Vent’anni senza un uomo perbene e un pilota valoroso.
Ciao Michele. E sappi che quaggiù non sei passato invano.