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Dallara e l’ingegner ZanardiLeo Turrini - 22 giugno 2020

Sono giorni così.

Nelle malinconie, è bello sapere di poter contare su persone vere.

Questo è il testo di una mia conversazione con l’ingegner Dallara, un grande che immagino non abbia bisogno di presentazioni, sebbene non di rado l’Italia sia molto distratta, nei confronti delle eccellenze patriottiche.

“Ci siamo visti appena pochi giorni fa. Con tutti gli amici della Nazionale Paralimpica di ciclismo è passato a trovarmi a Varano, nel parmense. Era felice, era con la moglie Daniela e con il figlio Nicolò, stare assieme a gente giovane lo caricava. So che ha ancora tante cose da fare: spero proprio che questa sia soltanto una vacanza forzata…”
Giampaolo Dallara e Alex Zanardi. Due grandi emiliani, due grandi italiani. Il primo geniale costruttore di automobili da sogno. Il secondo asso del volante e non solo. Amici una volta, amici per sempre.
“Ci siamo conosciuti quando lui era un ragazzo -sospira l’83enne ingegnere- Guidava una monoposto di Formula Tre realizzata da me. Il talento si vedeva, ma in Zanardi è stata sempre fondamentale la forza della volontà”.
Un self Made man, direbbero gli americani che tanto lo ammirano.
“E avrebbero ragione. Alex ha conquistato negli USA una popolarità straordinaria anche per il suo modo di porsi, per la semplicità con la quale compiva imprese uniche. Poi è un affabulatore, uno che quando parla ti porta in un mondo pulito, dove non esiste la cattiveria. La competizione sì, quella non può mancare. Ma senza malizia”.
A suo modo, un pioniere.
“Lo è per generosità e disponibilità. Ma non è un santo, semplicemente è una brava persona. Una volta gli ho chiesto di darmi una mano per tirar fuori un amico dalla depressione. Ecco, Zanardi con il suo esempio è il nostro antidoto contro il virus della rassegnazione”.
Mi diceva del periodo a stelle e strisce.
“Pensi che oltre Oceano da oltre vent’anni raccontano un suo sorpasso in una gara della Formula Cart a Laguna Seca . Nel dispiacere, non mi ha sorpreso l’eco che la sua disavventura ha avuto, da New York a Los Angeles. Una leggenda come Mario Andretti, per dire, adora Alessandro “.
Voi due come vi siete ritrovati?
“Merito della sua passione per la hand bike. C’è un aspetto della personalità di Alessandro che non sempre viene sottolineato: lo scrupolo maniacale in quello che fa. È un artista con una sana propensione al pragmatismo. È un emiliano doc!. La sa quella della galleria del vento?”
Me la racconti.
“Zanardi di fatto progetta la sua bicicletta da spingere con le mani. È anche un po’ ingegnere! Così un giorno mi ha detto: vengo da te per curare lo sviluppo aerodinamico del mezzo. Come se fosse una macchina di Formula Uno! Abbiamo messo la hand bike in galleria del vento, abbiamo lavorato sui materiali, dalla gommapiuma alla fibra di carbonio. Lui si diverte come un matto a giocare allo scienziato pazzo, ma in realtà se ne intende. Parecchio”.
Facendo contemporaneamente tante altre cose.
“Sicuro. Non c’è nulla di fittizio, nella sua immagine pubblica. Zanardi è come lo vedi. Non recita, al limite improvvisa, tutto gli viene naturale. Si batte contro i pregiudizi che ancora condizionano l’esistenza dei disabili perché sa che è giusto farlo. E cerca di guadagnare qualche decimo con i test nella mia galleria del vento perché sa che la competizione è parte dello spirito umano. Sa una cosa? Spero di rivederlo presto per studiare assieme nuove soluzioni tecnologiche, perché la tecnica appartiene all’essere umano…”