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Briatore e noiLeo Turrini - 26 agosto 2020

Ho raccontato per anni, anzi per decenni, fatti e misfatti di Flavio Briatore sul palcoscenico della Formula Uno.
Spero risolva presto e bene i problemi di salute. Trovo infame qualunque forma di accanimento social su chi vive nella sofferenza e siamo ben messi male se mi trovo a scrivere una simile banalità.
In generale, visto che qua sotto non di rado affrontate l’argomento virus, sommessamente ribadisco la mia opinione.
Detesto la politicizzazione del Covid. Le mascherine non sono di destra e non sono di sinistra. Il buon senso dovrebbe appartenere a tutti. Anche la mia famiglia, come tante, è stata segnata, per fortuna in maniera non irreversibile, dalla pandemia. Per questo provo umana compassione per i negazionisti e i minimizzatori.
Che Dio li perdoni.
Le altre cose.
Fu proprio a Spa, sul finire della turbolenta estate del 2007, che Briatore mi fece capire come le confessioni di Alonso sulla spy story fossero il prologo di una futura esperienza ferrarista.
È passata una vita e certo la Rossa del presente in niente somiglia a quella di tredici anni fa.
Anche sulle Ardenne per Leclerc e Vettel sarà un’altra odissea nello strazio.
Posso facilmente immaginare lo stato d’animo di Carletto, che giusto dodici mesi orsono, in Belgio, conquistò la prima vittoria in carriera.
Ma, anche qui, meglio stare alla larga dai negazionisti: passerà molto tempo, prima che il ragazzo possa tornare a salire sul gradino più alto del podio.
Beninteso, mi auguro di sbagliare.
Sulla Renault che abbandona l’appello anti Racing Point clonata mi limiterò ad osservare che la politica ha le sue ragioni. Ma ai francesi resta il merito di avere scoperchiato il vaso di Pandora di Toto Wolff.