Le ragazze del Cesena calcio femminile

Non ci sono solo loro, lo so. Ma non è una gara, anche se leggendo i social a volte ti viene da pensare che qualcuno l’abbia capita così.

E invece questo post non vuole scatenare alcun paragone, distinguo, scala di valori: voglio soltanto registrare un fatto, e spiegare l’effetto che fa al sottoscritto. Se dovete rispondere facendo distinzioni, per favore, andate da un’altra parte, che là fuori è pieno di profili ben felici di ospitare polemiche gratuite.

Il fatto. Non appena il tempo l’ha permesso, tanta gente è partita per andare ad aiutare la splendida gente di Romagna (e non ne sono stupito, è solo l’amore ricevuto che fa il giro, fratelli). Molti di questi volontari sono ragazzi, è un dato di fatto. Non mi interessa dialogare con chi li giudica, ho un figlio di 16 anni e so benissimo che quella bruttissima definizione di bamboccioni non si adatta proprio alla maggior parte di loro. Ne conosco tantissimi che hanno valori importanti, e la spinta per metterli in pratica. Anche più di noi. E senza il bisogno di vantarsene, come molti miei coetanei invece fanno.

Sono partiti in tanti, dicevamo. Ormai sono abbastanza vecchio per poter fare qualche bilancio, per capire che cosa mi abbia dato aver passato gli ultimi 37 anni a raccontare lo sport.

Oggi è uno di quei momenti in cui mi dico che sì, lo sport è un mondo a parte che però può riflettersi su quello reale in modo positivo. E’ sempre difficile capire quanto lo sport rifletta la vita reale e quanto avvenga l’opposto. Di sicuro tra i ragazzi che stanno dando una mano a pulire ci sono molti sportivi. Segnalo solo quelli in cui mi sono imbattuto io in dieci minuti, girando sui social: Sara Simeoni ha postato il video dei ragazzi della Libertas Forlì che spalano acqua e fango, ma basta scorrere qualche profilo per trovare i giocatori del Cesena di serie C e le ragazze del Cesena calcio femminile, delle quali mi permetto di pubblicare la foto, quelli della pallamano Romagna e i calciatori dell’Atletico Castenaso. Che hanno avuto lo stadio Negrini allagato, eppure sono partiti per andare ad aiutare gli altri. Molti l’hanno fatto cantando, mostrando la loro autoironia come nel memorabile cartello “non chiamateci angeli del fango, ma chi burdèl de paciugh”, che è il modo in cui si traduce ‘angeli del fango’, non so se in dialetto di Forlì o di Ravenna.

Eccolo, l’effetto che mi fa: se essere sportivi insegna a fare squadra con chi ha bisogno in questo modo, direi proprio che ne sia valsa la pena.