Io non lo so, se voglio davvero scrivere questo post. Sono ancora molto combattuto.
Forse capiterà anche a voi, che testa e cuore non riescano a mettersi d’accordo.
Perché dopo la notizia della convocazione di Alessandro Bovolenta per i prossimi Europei a casa mia va proprio così, il cervello mi dice una cosa, il muscolo che tutto muove spinge nella direzione opposta.
La mente insiste: non caricare troppo. In fondo, Alessandro ha fatto 19 anni nello scorso maggio, conoscendolo so che ha la forza per reggere il peso che sicuramente gli arriverà sulle spalle, ma detta in modo molto sintetico: non merita che ci si aspetti da lui qualcosa di diverso da quello che si chiederebbe a qualsiasi altro diciannovenne, solo perché di cognome non fa Pestalozzi, come direbbe Nick Carter.
Mi spiego meglio, perché nel caso specifico la materia è scivolosa: come tutti i figli d’arte che scelgono lo stesso lavoro di un padre bravo e famoso, la partenza è ad handicap. Perché i figli non ne hanno alcuna responsabilità, ma vengono semplicemente dopo un punto di riferimento con lo stesso cognome. Poi magari fanno meglio di papà, nel volley di questi casi ce ne sono tantissimi. Ma arrivano secondi, quindi il confronto è inevitabile. A Vigor poi volevamo tutti un mondo di bene.
Per fortuna, Alessandro gioca opposto e non centrale, questo sul piano strettamente pallavolistico aiuta. Ma tutti pensano a lui come al ‘figlio del Bovo’, in questo momento.
E invece io sono sicuro, razionalmente, che sia solo questione di tempo, perché il ragazzo è bravo davvero e ha la personalità giusta per non farsi schiacciare dai paragoni. Presto tutti lo considereranno soltanto Alessandro. Ho i testimoni, il più noto si chiama Andrea Zorzi: un anno fa, in una cena dopo la partita di Nations League al ristorante Mulino Bruciato a Bologna, dissi che per me Alessandro sarebbe andato a Parigi nel gruppo azzurro. Ho il difetto di ascoltare chi ne sa più di me: delle qualità soprattutto umane del ragazzo mi parlò Marco Bonitta, che peraltro aveva cresciuto anche il padre. E mi sono fidato.
Però, però, però. Poi viene il cuore. Viene il ricordo di una persona speciale come Vigor. Viene il ricordo di una maglia che è rimasta negli occhi a tutti, merito di un mirabolante atto di pirateria emozionale ordito da Mauro Berruto e da Cristian Savani ai Giochi di Londra 2012. Dove gli azzurri arrivarono terzi e sul podio, violando ogni protocollo, apparve la maglia del Bovo che se n’era andato pochi mesi prima, Savani l’aveva nascosta sotto la tuta per poterla mostrare.
Ci vorrebbe un cuore di ghiaccio, per non pensare a quella maglia mentre leggi che c’è un altro Bovolenta nella nazionale maggiore, pronto ad assaltare un Europeo. Per fortuna, io un cuore di ghiaccio non ce l’ho.
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