I cromosomi non sono un’opinione, nello sport poi i figli d’arte abbondano. Quindi diamo subito per scontato che chi porta nelle cellule l’eredità di un campione è già a buon punto per diventare almeno un buon giocatore. Sotto la rete del volley i casi si contano ormai a decine, ma quella attuale mi sembra una generazione particolarmente riuscita…e anche quelle dopo.

Nei campioni del mondo guidati da Fefè De Giorgi, per esempio, ce ne sono due. Il più alto è Alessandro Michieletto: suo padre Riccardo è stato un buon giocatore di serie A, soprattutto a Parma. Dove sua madre giocava a basket insieme a Emanuela, che sarebbe diventata la signora Giani

E poi c’è Francesco Recine, figlio di due pallavolisti di livello assoluto, Stefano Recine (che dopo essere stato per anni uno dei più bravi dirigenti a livello di club oggi è team manager della nazionale femminile impegnata nei mondiali) e Betty Bigiarini, alzatrice della grande Teodora, tra le altre squadre.

Nell’under 20 che sotto gli occhi di Julio Velasco ha appena vinto il titolo Europeo, invece, ci sono due ragazzi che secondo me vedremo presto aggregati al gruppo dei grandi. Uno è Mattia Boninfante, alzatore come suo padre Dante che vinse la medaglia di bronzo a Londra 2012. Anche la mamma ha giocato fino alla serie C.

E poi c’è Alessandro Bovolenta, figlio del compianto Vigor e di Federica Lisi, uno centralone azzurro, l’altra alzatrice che a sua volta ha vestito la maglia della nazionale. Ale diventerà un grandissimo, lo è già per la sua età. E vederlo giocare fa bene al cuore, a tutti noi che abbiamo voluto bene a suo padre.

Sul piano strettamente fisico e atletico, è facile capire che il dna ha lasciato un segno importante. Eppure secondo me c’è molto di più. Non basta neanche aver respirato l’aria di uno sport, o dello sport in generale, fin da bambini: di sicuro c’è una memoria degli occhi e delle cellule, che aiuta a imparare bene un movimento tecnico, più in fretta di chi magari non vede gli stessi esempi ogni giorno. Ma questo basta solo per spiegare come mai un figlio di un giocatore diventi spesso, a sua volta un giocatore.

Per diventare campioni serve di più, e conoscendo gran parte delle famiglie di questi ragazzi, mi sento tranquillo nell’azzardare una considerazione. E’ la mentalità degli sportivi di alto livello, a fare la differenza. Questi sono cresciuti con genitori che hanno i valori, dello sport, e hanno continuato ad averli sempre, anche dopo aver smesso, in casa e nei comportamenti quotidiani. Sono ragazzi cresciuti con la testa forte, non solo con i muscoli. Hanno imparato a lottare, a perdere per vincere, a cambiare per crescere. A non gasarsi e a non abbattersi.

Geni, sì. Ma anche neuroni.