DICIOTTO ANNI dopo. Due anni ancora e la sovrapposizione con il romanzo di Dumas sarebbe stata perfetta. A quasi cinque lustri dall’inizio della querelle politico-giudiziaria, ci si è accorti che indagare e sentenziare sulle «camicie verdi» della Guardia Padana non spettava a Verona ma a Bergamo. Processo azzerato. E indagini da riprendere, visto che i giudici scaligeri hanno deciso di trasmettere gli atti alla Procura orobica, che, immaginiamo, gioisca per l’inaspettato cadeau. Come i tre (più uno) moschettieri, anche gli indagati dell’inchiesta avviata all’epoca dal procuratore Guido Papalia invecchiano, ingrigiscono, imbolsiscono, si stempiano. Erano in 36 a dover rispondere di avere costituito «una associazione di carattere militare con scopi politici», ma nelle more di un processo senza fine uno di loro, classe 1925, è passato a miglior vita. Fra i sopravvissuti anche l’ex sindaco di Milano Marco Formentini, l’ex primo cittadino di Treviso Gian Paolo Gobbo, il deputato veronese Matteo Bragantini. Uno dei difensori, l’avvocato veneziano Renzo Fogliana, ha presentato una eccezione di incompatibilità territoriale. Il tribunale l’ha accolta. La Guardia Padana, lo dicono l’atto costitutivo e lo statuto, lo dice la storia, sono nate tra Pontida e Stezzano, in terra lombarda e non veneta. Lo si è capito diciotto anni dopo. A Dumas sarebbe piaciuto.

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