La storia del giovane turco espulso dalla Normale di Pisa, perché sospettato di connivenza con quelli che pensano si debba mettere le bombe alle ambasciate Usa, si presta ad alcune riflessioni che hanno a che fare con l’idea che l’università – e la scuola in genere – debbano godere di una sorta di extraterritorialità, che li pone al di sopra e al di fuori del resto del mondo. Lo stesso fatto solleva anche altre questioni che hanno a che fare con il concetto di tolleranza e con l’opportunità di averne anche per coloro che non ce l’hanno. Se le notizie stampa rispecchiano la posizione della Normale, ovvero della più prestigiosa università italiana, per come è stata attribuita al direttore, nel giorno della diffusione della notizia l’istituzione ha voluto scindere il suo scopo di ricerca da contesti che hanno a che fare con le indagini della polizia. Un distinguo comprensibile e condivisibile, ma che non sfugge alla domanda se la scuola e l’università possano prescindere dalla realtà nella quale vivono, e anche al problema se sia lecito tollerare gli intolleranti. Se, di fronte a certe questioni che hanno a che fare con la minaccia che incombe sulla sicurezza e la libertà dei cittadini, di qualunque credo ed etnia, sia lecito per la scuola girarsi dall’altra parte e sostenere che la scuola guarda solo al profitto degli allievi.

Nessuno pensa che l’università debba trasformarsi in un organo di polizia (roba da dittature), ma è certo che senza una convinta assunzione di responsabilità da parte dell’università contro le Brigate Rosse, il terrorismo non sarebbe stato sconfitto in Italia. E non è il grado di intelligenza o di cultura che garantisce l’assenza di complicità, come dimostrarono tanti docenti a cominciare dall’ideologo Toni Negri. Possiamo perciò pemetterci di guardare come a un eccesso di zelo della polizia l’espulsione del genietto, che sognava o dichiarava di sognare sul web di fare il kamikaze? Possiamo guardare all’episodio come al frutto di un comportamento stravagante, solo perché il giovane aveva il massimo dei voti? Forse quel che difetta in questa storia e in altre simili è un debole concetto di Stato democratico e della sua difesa che alligna in certi docenti, molto simili a don Abbondio.