Un amico mi ha parlato di un suo caso, che riferisco perché mi pare significativo a descrivere come sia in agguato la sfiducia. Ieri mattina, mi ha detto, sono andato ad iscrivere mia figlia all’università di Pechino. Non potevo non assecondarla nel suo proposito, perché merita. Ma mentre andavo in banca per pagare la retta annuale ho avuto l’esatta percezione che è quantificabile il danno economico provocato dalla perdita di fiducia per il nostro paese.

Riflettevo, mi ha spiegato l’amico, su quanto pesi sul bilancio della famiglia l’impegno economico che la frequenza all’università di Pechino comporta e pensavo al bonifico che avevo fatto, tutto a vantaggio della Cina e senza alcuna ricaduta per l’Italia. Ciò accadeva perché una giovane italiana, come accade per migliaia di altri ragazzi che vanno o in Europa o in altri continenti, progettando il proprio futuro aveva ritenuto di investire per la sua specializzazione post laurea non in una università italiana ma in una orientale sulla cui superiorità non ho francamente prove da esibire. Questi vaghi pensieri si intrecciavano, proseguiva l’amico, esprimendosi in una rabbia, alimentata dall’accorgersi che andare via dall’Italia, anzi di mandare via dall’Italia i propri figli, deriva dalla convinzione che l’Italia non è più un buon partito.

Con l’effetto di un misto di rabbia, amarezza, ribellione e impotenza. Sostenere i figli negli studi era sicuramente in passato, come anche oggi, una prova di ottimismo, perché significava scommettere sul merito. Ma la deformazione del ragionamento, di cui siamo diventati prigionieri, sta nella convinzione che in Italia l’investimento o ci è negato o è a rischio eccessivo.
Terribile pensiero, perché vi si annida la sfiducia (o la certezza?) che qui quasi nulla ormai è possibile o, semmai tornasse ad esserlo, chissà quando sarà mai possibile trovare un lavoro adeguato, ben retribuito e dignitoso.

Il risultato è che il danno non è solo morale ma economico, perché scelte così dirottano altrove risorse, privandone l’Italia, fino all’ultimo più grave danno
che è la perdita delle risorse intellettuali.
Ti capisco, ho risposto all’amico, perché ad una generazione di italiani che acquistavano auto Fiat per il solo fatto che erano italiane, risulta difficile accettare l’idea di una inferiorità per il solo fatto di essere italiana. La verità è che non crediamo più in noi e speriamo di trovare altrove quel che invano cerchiamo qui. E ogni sforzo risulta vano, perché non si può vincere se non si è convinti di poter vincere. Ma è un dato di fatto che ci siamo arresi.

Concludendo, amico mio, studiare all’estero non è un errore, anzi è una buona scelta. Ma va tradotta in un’opportunità e non deve essere vissuta come una fuga. Proviamo a pensarla come un’esperienza per tornare migliori.