CHE COSA ci racconta la Festa dell’Unità di quello che c’è e di quello che c’era. Non cercate nell’album della sinistra, non troverete nulla uguale a oggi. A cominciare dalle camicie bianche che sono diventate il simbolo di Renzi e anche la divisa della sinistra e una volta erano la nota caratteristica degli impiegati, i traditori che stavano con i padroni e non con gli operai, infatti li chiamavano colletti bianchi. Poi le bandiere. Se andate alla ricerca per trovarne una rossa alla festa nazionale dell’Unità a Bologna rimarrete delusi. Non ce n’è traccia. C’è invece un grande spolvero di tricolori, le bandiere del Pd bianche, rosse e verdi, più qualche bandierina iridata dei pacifisti e una manciata di quelle palestinesi, come d’abitudine perché la sinistra si dimentica spesso che anche Israele avrebbe diritto a campare.

Poi c’è il segretario del partito che è molto cambiato dai tempi di Berlinguer. Una volta era una via di mezzo tra l’umano e il divino, era l’essenza del potere, il Verbo, la verità. Oggi il segretario è Renzi che è occupato a fare il premier, ma deve pensare anche alla famiglia Pd fatta di parenti serpenti. E lui la tratta come si fa con le famiglie perché non si sfascino. “Smettiamo di litigare e stiamo insieme”. Questa è la metamorfosi del partitone. E per capire quanto sia cambiato con Renzi basta vedere dove sono stati confinati i big del partito, amici e no, ministri e autorità. Prima erano nei posti d’onore, schierati sul palco e dietro il capo, a sgomitare per entrare nella foto, oggi ministri ed ex, a cominciare dal mai troppo lodato Bersani purché se ne stia alla larga, sono stati messi in un gabbiotto, in un recinto sotto il palco. E davanti la platea che rumoreggia perché vuole Renzi e lo invoca: Matteo, Matteo, platea fatta anche di ragazzi, e più di donne che di uomini o almeno sono più le donne a farsi sentire di quelli che una volta si chiamavano compagni. E tutti si comportano come se il premier fosse Clooney, tutti a chiamarlo per farsi foto, tutti con i telefonini in aria.

Poi il discorso, una volta il segretario del partito alla festa dell’Unità parlava minimo un paio d’ore, Togliatti sforava le tre, discorsoni tutti pensati per giorni e notti, meditati e messi per iscritto. Lui invece parla a braccio e così lo vogliono. Poi la politica. C’è ma è diventata un’altra cosa. Non cercate bandiere rosse, non le troverete, ma nemmeno simboli, segni di ideologie, manuali e messalini di come pensare e vivere se sei del Pd. Si naviga a vista, ognuno a suo modo e nonostante ciò va detto che non sembra un popolo sgangherato, anzi, ed è un popolo che si riconosce su alcuni temi e sarà perché siamo a Bologna ma appena sentono dire al segretario del partito che la meritocrazia è di sinistra esplodono nell’applauso più grande. E vagli a ricordare che una volta la sinistra odiava il merito e raccontava che siamo tutti uguali. No, ora dice che siamo tutti diversi e sono i meriti a fare la differenza e quando i professori puniscono gli studenti fanno bene, le famiglie se ne stiano zitte e non si intromettano. Un applausone! 

Ma soprattutto c’è la questione lavoro, che è sempre stato il pane quotidiano del partito dei lavoratori, mi raccomando non dite comunista, perché potrebbero irritarsi, questi sono figli di nessuno o almeno dicono. Ma Renzi usa la parola lavoro nel suo doppio significato, di lavoro come dovere e di lavoro come diritto. Ma quando parla del lavoro come dovere, che viene prima di ogni altra cosa e soprattutto prima delle liti politiche, perché bisogna pensare prima all’Italia e poi al Pd, quando dice che bisogna lavorare, lavorare, intesi?, insomma quando dice o lascia intendere che prima vengono i doveri e poi il resto, la platea lo travolge con gli applausi, con le lacrime, con i bravo!, con gli “sei un grande”.
Per concludere, che cosa sia rimasto in questa festa di quello che c’era nelle vecchie feste dell’Unità è difficile dire, ma tutti sembrano convinti e contenti o fanno finta di esserlo. Convinti, magari senza accorgersene, anche di quel po’ di kennedismo non dichiarato, che pure c’è e che raccomandava di non interrogarsi su che cosa chiedere ma su che cosa dare. Ma questo lo diceva anche Veltroni e perciò è roba vecchia.