IL SUCCESSO riscosso da una storia verità come quella raccontata ne “Il ponte delle spie” fa crescere l’attesa per l’annunciato film di Steven Spielberg sul bambino ebreo che fu rapito a Bologna per ordine di papa Pio IX. Un progetto, a dire il vero, che è ancora nella fase iniziale, ma che è stato già annunciato dallo stesso Spielberg desideroso evidentemente di riprendere quel filone storico iniziato nel ’93 dal capolavoro “Schindler’s List” poi seguito nel 2005 dal controverso “Munich” e nel 2015 dal film sulla guerra fredda.

IL RAPIMENTO di Mortara si colloca a metà dell’800, al tramonto del potere temporale della Chiesa, in una Bologna papalina che di lì ad un anno si sarebbe staccata da Roma per essere annessa allo Stato sabaudo. Perciò diventò un caso internazionale, coinvolgendo l’opinione pubblica non solo europea ma anche americana, e mostrando una Chiesa ottusa e autoritaria, soprattutto lontana dagli ideali che animavano il dilagante pensiero liberale. Una vicenda che coincise con il processo unitario italiano dando forza al principio cavouriano della separazione tra Stato e Chiesa, un caso che offrì a Cavour utili argomentazioni per influenzare Napoleone III, che nonostante fosse alleato della Chiesa cominciò a sentirsi stretto in quel ruolo al punto dal manifestare al pontefice contrarietà per il rapimento di quel bambino.

MA VEDIAMO come andarono le cose. Sono le 9 di sera del 23 giugno 1858, alla casa dei Mortara in via delle Lame numero 196, che è verso piazza Maggiore, suonano due uomini, uno in divisa è un maresciallo dei gendarmi, l’altro è in borghese. Chi sono i Mortara? Il capofamiglia, Salomon David Sabatino, detto Momolo, ha una quarantina d’anni, commercia in passamanerie, proviene dal ghetto di Reggio Emilia, ha simpatie liberali ed è amico di massoni della loggia di via Galliera. La moglie si chiama Marianna Padovani, figlia di ricchi mercanti di Modena. La coppia vive a Bologna dal 1850, da quando si sono sposati, in quel tempo la comunità ebraica nella città conta 200 membri. I due gendarmi cominciano ad interrogarli sui loro otto figli, in particolare su Edgardo, il sesto che ha sei anni e chiedono dov’è la sua camera. Ad un certo punto il maresciallo bisbiglia al padre una rivelazione: è stato vittima di un tradimento perché «vostro figlio Edgardo è stato battezzato e ho l’ordine di portarlo via con me». La madre si abbandona alla disperazione e comincia a gridare, accorre il vicinato, i parenti si recano a San Domenico per parlare con l’Inquisitore e lì apprendono che l’ordine è venuto da Roma, ma tale è lo scompiglio che l’operazione è rinviata. La mattina dopo i Mortara tornano dall’Inquisitore, da padre Pier Gaetano Feletti e lui promette, allude, lascia intendere che potrebbe esserci un ripensamento.

LA FOLLA sosta in via delle Lame sotto la casa dei Mortara ma quando giunge la notte ricompaiono i gendarmi e questa volta sono tanti. Si precipitano in casa, strappano il bambino dalle braccia del padre e il maresciallo fugge via dicendogli di farsi coraggio. «Dio è in cielo per tutti». La madre sviene mentre la carrozza che porta via il suo bambino si allontana di gran corsa. Arrivati al borgo di san Lazzaro, fanno il cambio di vettura e ripartono subito dopo, destinazione Roma.

SOLO dopo quella notte terribile la famiglia viene a conoscere la ragione di così inspiegabile gesto. Era accaduto che la loro donna di servizio, di nome Anna Morisi che in realtà è una ragazzina di 14 anni, aveva battezzato Edgardo un giorno in cui il piccolo era molto ammalato tanto che lei pensava sarebbe morto. Ma perché rapirlo? Ecco perché. C’era infatti una legge pontificia che prevedeva due regole. La prima, che era vietato per gli ebrei avere a servizio cattolici (questa norma sarebbe stata reintrodotta dalle leggi razziali sotto il nazifascismo). Regola due, i bambini battezzati dovevano essere allevati da cattolici e non potevano essere lasciati agli ebrei. Infatti quello di Edgardo non fu il primo caso di bambino sottratto alle famiglie ebraiche ma fu quello che fece più rumore perché lo Stato Pontificio era ormai in agonia ed infatti nel giugno dell’anno dopo Bologna si staccò dallo Stato della Chiesa fino alla dissoluzione della Roma papale. Continuarono però le tribolazioni per i Mortara che cercarono inutilmente di riavere il loro figlio. Finito sotto il controllo diretto del papa Edgardo fu avviato alla vita clericale, poi venne fatto fuggire e sotto falso nome portato in un monastero di Bressanone. Infine trasferito a Poitiers in Francia dove nel ’73 ricevette l’ordinazione sacerdotale.

PARADOSSO della storia, sotto il comando del generale Alfonso la Marmora, che il 20 settembre 1870 entrò vittorioso a Roma e mise fine al potere temporale del papa, combattè con onore un giovane tenente dei bersarglieri, che si conquistò anche una medaglia al valore. Si chiamava Riccardo Mortara ed era fratello di Edgardo. L’uno ebreo e antipapalino e l’altro sacerdote di Santa Romana Chiesa. L’ex bambino rapito dal papa morì in un monastero del Belgio a Liegi l’11 marzo 1940. Il caso Mortara fu una delle ragioni di opposizione alla beatificazione di Pio IX, che avvenne per volontà di papa Woityla nell’anno 2000.