Timido, educato, elegante. Non solo perché era amico di Ottavio Missoni. E io preferisco ricordarlo in quei maglioni dove i colori erano accordi e note del jazz che in ammollo a Carosello. Franco Cerri era cool, un californiano a Milano, chitarrista con Django Reinhardt, Jim Hall, Tal Farlow e Barney Kessel nella testa, ma con la libertà dell’autodidatta, e Gorni Kramer nella fisarmonica del cuore, discreto uomo della notte nei club fra il centro e Brera. Forse un pesce fuor d’acqua al Capolinea, testimonial di un jazz freddo con il cappotto giusto che piaceva alla borghesia intellettuale milanese.
Raffinato, empaticamente elitario, perché la timidezza funziona, musicista sempre dentro il tessuto armonico di un tema.  Nel famoso Carosello ci finì invitato da un amico e l’idea era geniale. Trovò in Enrico Intra, pianista contemporaneo, un socio per una classicità ostinata e contraria alle mode. Festeggiò i 90 anni suonando una vita vissuta mai pericolosamente, la quotidiana normalità del grande jazz.