L’epatocarcinoma e il tumore delle vie biliari sono malattie particolarmente insidiose, ora grazie alla recente approvazione dell’immunoterapia da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco (una singola dose iniziale di tremelimumab con durvalumab, seguita da durvalumab in monoterapia) cambiano le prospettive, considerando in particolare il carcinoma epatocellulare avanzato o non resecabile, mentre nel carcinoma delle vie biliari non resecabile o metastatico la combinazione di durvalumab più chemioterapia ha ridotto del 24% il rischio di morte rispetto alla sola chemio. Questo significa che sempre più pazienti ottengono vantaggi considerevoli dalla terapia, e possono portare avanti le diverse occupazioni in condizioni accettabili, anche quando si tratta di dover convivere con un tumore cronicizzato.

L’approvazione della rimborsabilità della terapia con tremelimumab e durvalumab per il trattamento di prima linea dell’epatocarcinoma è una notizia di estremo interesse considerando che in media un un anno in Italia vengono formulate 12mila diagnosi di epatocarcinoma.

Secondo quanto riferisce Fabio Piscaglia, professore di Medicina Interna all’Università di Bologna, l’epatocarcinoma con esito infausto predilige gli uomini nella fascia di età compresa tra i 60 e i 70 anni. Spesso la neoplasia si sviluppa all’interno di un organo già già provato da malattie croniche, come la cirrosi, rendendo la diagnosi e il trattamento ancora più complessi.

L’epatopatia cronica del fegato può essere in qualche modo preannunciata da infezioni da virus dell’epatite B e C, abuso di alcol, si possono riscontrare malattie genetiche, malattie autoimmuni, sindrome metabolica correlata a sovrappeso e diabete.

Il trattamento della malattia epatica è estremamente complesso, soprattutto quando il paziente è affetto anche da tumore. Mario Scartozzi, professore di Oncologia Medica a Cagliari, sottolinea l’importanza di curare il tumore senza trascurare l’epatopatia cronica sottostante. Per i pazienti con malattia avanzata, che non possono essere sottoposti a interventi chirurgici o terapie locoregionali, diventa fondamentale poter accedere a strumenti efficaci come l’immunoterapia. Massimiliano Conforti, Vice Presidente di EpaC, sottolinea l’importanza di sensibilizzare anche i medici di famiglia per attivare programmi di sorveglianza nei confronti delle persone a rischio, parere condiviso da Paolo Leonardi, Presidente dell’Associazione Pazienti Italiani Colangiocarcinoma (Apic).

Un’altra neoplasia primitiva del fegato in cui l’immunoterapia con durvalumab ha evidenziato risultati di rilievo è il tumore delle vie biliari, che fa registrare ogni anno circa 5.400 nuovi casi in Italia. “È una patologia rara in costante crescita – ha scritto Lorenza Rimassa, professore associato di oncologia medica all’Humanitas University Research Hospital di Rozzano, Milano –  La chirurgia effettuata nel tumore allo stadio iniziale, può avere esito risolutivo. Purtroppo, solo il 25% dei pazienti è candidato all’intervento. Le difficoltà legate alla mancanza di sintomi specifici, infatti, conducono in oltre il 70% dei casi alla diagnosi in fase avanzata. Nei pazienti inoperabili, il trattamento di prima scelta fino a ieri era rappresentato dalla chemioterapia

Anche Paola Morosini, Medical Affairs Head Oncology presso AstraZeneca, sottolinea l’importanza dell’approvazione della rimborsabilità di durvalumab da parte dell’Aifa. Si tratta di un riconoscimento senza precedenti per un regime immunoterapico in prima linea nel colangiocarcinoma, un risultato decisivo per la comunità scientifica e per i pazienti. Vanno avanti intanto trial su durvalumab anche nell’epatocarcinoma in stadi precoci. Ad esempio, lo studio EMERALD-1 ha evidenziato il ruolo della molecola in combinazione con la chemioembolizzazione, quando il tumore è confinato al fegato e la funzionalità epatica non è compromessa.