Attacchi improvvisi di sonno, anche in pieno giorno, obesità, sonnolenza prolungata, sedentarietà, pause respiratorie, altalena di risvegli e addormentamenti: sono segni di narcolessia. In Italia sono un migliaio i pazienti ufficialmente certificati e trattati, ma si stima che la patologia colpisca 20-25mila persone, scrive in un comunicato Giuseppe Plazzi, docente di Neurologia all’Università di Bologna, presidente dell’Associazione italiana di medicina del sonno. Di qui l’opportunità di dotare i medici di criteri intepretativi, le red flags, per far scattare un campanello d’allarme tempestivo su determinati sintomi. E un aiuto arriverà dal registro nazionale della narcolessia istituito da poche settimane dall’Istituto superiore di sanità.

La narcolessia si verifica quando particolari cellule del sistema immunitario distruggono per errore una popolazione di neuroni indispensabile al mantenimento della veglia attiva. Può essere scambiata erroneamente per epilessia o depressione: comporta difficoltà nell’apprendimento, possibilità di incidenti, dormiveglia prolungati, può portare a perdita del lavoro e scadimento delle relazioni sociali.

Ospite d’onore al congresso che si è tenuto a Bologna sul tema è stato uno dei leader mondiali nello studio della narcolessia,  Emmanuel Mignot, Stanford University; nel 2009 egli ebbe per primo un’intuizione, recentemente confermata da una ricerca di un pool di ricercatori svizzeri, e cioè che la narcolessia è un fenomeno di autoimmunità, lo studio illustra come le nostre sentinelle linfocitarie, le cellule T, attaccano l’ipocretina, neurotrasmettitore fondamentale nella regolazione dei ritmi sonno-veglia, perché non riconoscono i suoi geni HLA di superficie che identificano le strutture proprie rispetto a quelle estranee come virus o batteri.

Alessandro Malpelo

QN Salute