Due giovani ricercatrici, Chiara Corti e Caterina Sposetti sono le vincitrici del terzo bando per borse di studio all’estero dedicate alla memoria di Gianni Bonadonna, e potranno proseguire così i loro progetti di ricerca sul tumore al seno in un contesto prestigioso. La notizia è stata diffusa in occasione della Giornata Internazionale delle Donne nella Scienza.

Fondazione Bonadonna, con il sostegno del Gruppo Prada, e Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, hanno unito le forze per investire nei talenti emergenti in oncologia. Le vicende personali costituiscono un esempio illuminante di come le donne possano fare la differenza nel campo della scienza e della medicina.

Chiara Corti oggi svolge ricerca clinica presso la Divisione di Sviluppo di Nuovi Farmaci per Terapie Innovative all’Istituto Europeo di Oncologia IEO di Milano e avrà l’opportunità di portare avanti il suo progetto al Dana-Farber Cancer Institute a Boston. Si occuperà di carcinoma mammario triplo negativo, con l’obiettivo di descrivere e analizzare le interazioni fra cellule neoplastiche e cellule del sistema immunitario all’interno del tumore. Lo scopo ultimo è comprendere se e come tali dinamiche possano influenzare la risposta alle terapie preoperatorie e il rischio di recidive.

Caterina Sposetti si è trasferita al Dana-Farber Cancer Institute – Harvard Medical School di Boston da Milano, dove ha lavorato presso la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori. Il carcinoma mammario in fase precoce è l’obiettivo del progetto di ricerca che la dottoressa Sposetti porterà avanti grazie alla borsa di studio. Lo scopo ultimo è capire come una bassa o assente espressione del recettore HER2 sulla membrana delle cellule tumorali incida sul metabolismo del carcinoma, su quello delle pazienti e soprattutto sulla prognosi della malattia.

 

Divario da colmare

La disparità di genere nella ricerca scientifica è ancora una realtà diffusa in tutto il mondo, nonostante la crescente consapevolezza sull’importanza della parità di genere anche nel campo della scienza. Secondo i dati dell’UNESCO Institute for Statistics, meno del 30% dei ricercatori a livello globale è di sesso femminile, mentre in Italia questa percentuale si attesta intorno al 34%.

Fondazione AIRC si distingue come il primo polo privato di finanziamento della ricerca indipendente sul cancro in Italia, destinando nel 2024 oltre 143 milioni di euro alla ricerca oncologica. Di questi, più di 44 milioni sono stati assegnati a 399 progetti e borse di studio, con donne che ricoprono il ruolo di responsabili delle ricerche. Complessivamente, i progetti sostenuti da AIRC vedono impegnate oltre 3000 donne, contribuendo in modo significativo alla presenza femminile nella ricerca scientifica.

In particolare, il sostegno offerto da Fondazione AIRC si estende anche all’istituto IFOM, dove il 54% dei ricercatori sono donne. In questo contesto è stato creato il “lab G”, un laboratorio speciale pensato per le ricercatrici in gravidanza, dotato di strumentazioni che garantiscono la sicurezza delle mamme e dei bambini, consentendo loro di continuare la propria attività anche durante la gravidanza.

Per quanto riguarda i bandi, questi mirano a favorire la cooperazione tra scienziati esperti e nuove generazioni di ricercatori. Un sodalizio significativo, considerando oltretutto che una donna su tre è colpita da un tumore nel corso della vita. Grazie ai progressi della farmacologia e della diagnostica è possibile effettuare, in molti casi, trattamenti mirati risolutivi, ma c’è ancora tanta strada da fare per garantire cure accessibili e protocolli validi per tutti i tipi di neoplasie che colpiscono la donna. Fondazione AIRC, nella fattispecie, promuove due fondamentali campagne nazionali di raccolta fondi e sensibilizzazione finalizzate a promuovere a promuovere la diagnosi precoce e cura dei tumori femminili: l’Azalea della Ricerca, che si tiene durante la Festa della Mamma a maggio, e il Nastro Rosa, dedicata al tumore al seno, nel mese di ottobre.

 

La scoperta sull’amiloide

Un articolo su Cell Death and Disease, relativo a uno studio coordinato da Angela Bachi, ricercatrice AIRC, condotto da un team di ricercatori dell’IFOM, ha descritto un collegamento sorprendente tra le fibrille amiloidi, note principalmente per la loro presenza nelle sindromi neurodegenerative, tipicamente nella malattia di Alzheimer, e la regolazione della crescita cellulare e della divisione.

Le fibrille amiloidi, piccole aggregati di proteine che si trovano anche nello spazio extracellulare delle cellule tumorali, potrebbero avere un ruolo cruciale nell’attivazione della proteina YAP, che è associata allo sviluppo di vari tipi di cancro, incluso il melanoma e il tumore del pancreas.

L’approccio basato sulla proteomica ha permesso di analizzare in modo dettagliato il microambiente delle cellule tumorali identificando le fibrille come possibili attivatori del processo che porta alla crescita incontrollata e alla resistenza delle cellule tumorali.

I risultati di questa ricerca offrono una prospettiva inedita sul modo in cui il microambiente tumorale influisce sulla crescita incontrollata, e potrebbero aprire nuove vie per lo sviluppo di terapie mirate contro il melanoma e il tumore del pancreas. In teoria (ma è ancora da dimostrare) l’impiego di farmaci attivi sull’ amiloide, che sono già stati testati nei trial per l’Alzheimer, potrebbe rivelarsi una strategia efficace per migliorare le opzioni di trattamento in oncologia.

Ma cosa sono i depositi di amiloide e cosa provocano? “Si tratta – precisa Vittoria Matafora, autore senior della ricerca – di minuscoli aggregati di proteine. Nel caso di pazienti affetti da malattia di Alzheimer queste fibrille si ritiene siano determinanti nel provocare la morte dei neuroni, e il loro ruolo in ambito oncologico era finora pressoché sconosciuto”.

“In particolare – ha scritto Francesco Farris, primo autore dello studio – abbiamo individuato una proteina chiamata agrina, presente nello strato più esterno della membrana plasmatica che circonda le cellule, che riconosce le fibrille amiloidi e avvia il segnale per l’attivazione di YAP”.

“Le osservazioni sul microambiente tumorale – sottolinea in conclusione la dottoressa Bachi – permettono di comprendere meglio come le fibrille amiloidi possano influire in maniera rilevante sulle cellule tumorali e sulle loro dinamiche, rendendole più attive e invasive”.