Un paziente su 5 con malattia renale cronica può sviluppare anemia fino ai gradi più severi. Per questo motivo ANED, Associazione nazionale emodializzati dialisi e trapianto, ha avviato una campagna per diffondere tra i soggetti con nefropatia una corretta informazione.

“Troppo spesso ci sono sintomi che un paziente con insufficienza renale lamenta, come il facile affaticamento, la difficoltà di concentrazione e l’insonnia. Questi disturbi vengono spesso collegati erroneamente alla condizione di sofferenza renale, alla dialisi.”, afferma Antonio Santoro, direttore del Comitato scientifico ANED – “Eppure i numeri parlano chiaro. Essendo l’anemia una complicanza frequente in particolare negli stadi più avanzati della malattia, questa va ricercata e studiata nella sua origine spesso multifattoriale ”.

L’anemia può dipendere da diversi fattori come la mancanza di ferro, per perdite emorragiche, incongruo apporto alimentare o ridotto assorbimento intestinale, carenza di vitamina B12 e acido folico, oppure per deficit dell’ormone eritropoietina prodotto dai reni, che stimola la crescita dei globuli rossi. “Nei gradi più avanzati di anemia possiamo avere tachicardia, senso di spossatezza, depressione o facile irritabilità”, commenta Giuseppe Rombolà, direttore della Nefrologia e Dialisi della ASST Sette Laghi di Varese. “L’anemia, che si associa agli stadi più avanzati dell’insufficienza renale, deve essere riconosciuta e adeguatamente trattata”.

Da tutte queste considerazioni prende le mosse la campagna Astellas incentrata sulla stretta relazione tra malattia renale cronica e anemia. “Con questa iniziativa diamo voce ai pazienti, affinché tramite il racconto della loro esperienza possano rendere percepibile l’impatto dell’anemia sulla qualità della vita” conclude Giuseppe Vanacore, presidente Aned. La notizia è stata illustrata oggi in conferenza stampa.

Altra notizia, quest’ultima battuta dalle agenzie, riguarda persone affette da anemie, insufficienza renale o patologie legate alla sintesi dell’emoglobina nel sangue (emoglobinopatie) che soffrono in parallelo di diabete. In queste condizioni, la tecnica del prelievo di gocce di sangue per misurare la glicemia rappresenta un problema. Nasce dall’esigenza di strumenti diagnostici alternativi alla tradizionale emoglobina glicata (HbA1c), l’innovativo biosensore messo a punto da ricercatori dell’Istituto per la microelettronica e i microsistemi (Imm) del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma, in collaborazione con colleghi del Department of Mechanical Engineering della Johns Hopkins University (Baltimora, Usa). Tale sensore permette l’identificazione di un nuovo indicatore glicemico, l’albumina glicata, sfruttando una matrice di nanofili di silicio rivestiti di argento,  capaci di catturare e tradurre informazioni chimico-fisiche non rilevabili attraverso una diagnostica tradizionale.

Alessandro Malpelo

QN Quotidiano Nazionale

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