In Italia si calcolano più di 250mila infezioni da epatite C ancora da scovare, includendo chi ha contratto il virus HCV in maniera inconsapevole. Due iniziative si muovono per rilanciare screening e indagini conoscitive nei confronti di un’infezione che è passata in secondo piano per via dell’emergenza Coronavirus, e che ora torna alla ribalta.

Uno studio condotto da ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Università di Roma Tor Vergata, pubblicato su Liver International, propone di testare in modo sistematico gruppi di popolazione a rischio come reclusi, tossicodipendenti e sex workers per rilanciare razionalmente l’accesso alle terapie antivirali risolutive.

Abbinare ai test sierologici per la ricerca di anticorpi contro il virus Sars-CoV-2  lo screening per l’epatite C sarebbe un’occasione imperdibile per Alleanza contro l’Epatite. “Tecnicamente è possibile svolgere ambedue i test sul campione di sangue prelevato senza difficoltà – ha dichiarato Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana malattie infettive – ma bisogna organizzarsi in tempi brevi, perché la sierologia per il Covid sta partendo”.

“L’auspicio degli infettivologi è che si possa affiancare all’indagine su Covid un’ampia rilevazione su HCV – ha commentato Massimo Galli, ordinario di malattie infettive all’Università di Milano – il campione da testare sarebbe certamente, almeno in parte, diverso, ma lo sforzo organizzativo ed economico potrebbe essere unificato, inducendo utili sinergie. Auspichiamo un Paese senza Covid, ma anche senza Epatite C. E per questo più persone potremo curare, più ci avvicineremo all’obiettivo”.