Un gruppo di ricercatori di Humanitas guidato da Maurizio D’Incalci e da Sergio Marchini ha annunciato di aver scoperto che il genoma del cancro dell’ovaio è caratterizzato da tre diversi tipi di alterazioni strutturali che definiscono una diversa prognosi, ossia una diversa sopravvivenza delle pazienti con carcinoma ovarico al primo stadio. Questa scoperta potrebbe migliorare la diagnosi e forse la terapia di questo tumore, che colpisce oltre cinquemila donne ogni anno solo in Italia e si considera ancora oggi una delle forme più difficili da curare tra le neoplasie ginecologiche.

 

Arrivare prima

Spesso la diagnosi è tardiva perché la malattia è subdola nelle fasi iniziali, e perché le donne dopo la menopausa frequentano meno regolarmente gli ambulatori della ginecologia, dove una patologia ovarica verrebbe quantomeno individuata con una ecografia di routine. Gli screening rivolti a questa fascia di utenti sono poco enfatizzati dal servizio sanitario nazionale.

 

Instabilità cromosomica

«I risultati ottenuti nello studio hanno evidenziato una caratteristica biologica importante del tumore all’ovaio: l’instabilità cromosomica. I casi con cromosomi relativamente stabili –  spiega il professor D’Incalci, docente di Humanitas University nonché direttore del laboratorio di Farmacologia antitumorale di Humanitas  – hanno una prognosi più favorevole e hanno una bassa probabilità di dare recidive».

 

Classificazione molecolare

La ricerca si è focalizzata principalmente sui casi di tumore ovarico al primo stadio, ma i diversi tipi di alterazioni cromosomiche sono stati riscontrati anche in casi in stadio avanzato. In futuro la diversa instabilità cromosomica potrebbe essere utilizzata come nuova modalità di classificazione molecolare dei tumori ovarici. I risultati dell’indagine dell’Humanitas, pubblicati sull’European Journal of Cancer (EJC), sono emersi nell’ambito di uno studio sostenuto dalla Fondazione Alessandra Bono Onlus e da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro.