La ricerca sull’Alzheimer in Italia punta alla diagnosi precoce, raccogliendo anche il recente suggerimento della FDA americnaa (Food and Drug Administration) che vuole spingere le industrie farmaceutiche a sviluppare nuove molecole innovative, dopo le cocenti delusioni nei trial degli ultimi anni abbandonati in corso d’opera per manifesta inefficacia, tanto che chiede di anticipare i trattamenti per prevenire o ritardare il declino cognitivo e il deterioramento mentale. Anche perché quando gli anziani perdono la memoria il danno è fatto, a quel punto nemmeno i geriatri possono fare granché per recuperare le abilità andate perdute.

Sono stati presentati all’Università Statale di Milano i primi risultati dei 25 progetti triennali della rete di giovani ricercatori sostenuti da Airalzh Onlus, in partnership con Coop, molti dei quali indagano biomarcatori specifici come il liquido cefalorachidiano e la saliva, inediti strumenti diagnostici, test specifici di analisi del linguaggio, soluzioni che si affiancano a tecnologie già utilizzate con successo, come la Risonanza Magnetica e la Tomografia a positroni (PET) nei pazienti con sospetta demenza in fase iniziale.

“Speriamo di poter individuare i malati precocemente, non solo gli Alzheimer in età avanzata – afferma Sandro Sorbi, Presidente Airalzh, ordinario di neurologia all’Università di Firenze, direttore della neurologia a Careggi – dobbiamo imparare a riconoscere i segni di sofferenza quando ancora i sintomi sono minimi e tali da poter intervenire tempestivamente per puntare a un rallentamento o all’arresto della progressione, al fine di mantenere una discreta qualità di vita con stabili relazioni sociali”.

Alessandro Malpelo

QN Quotidiano Nazionale

Salute