La memoria legittima il presente. Quel che siamo ora, lo dobbiamo al passato. Nel bene e nel male. Quel che abbiamo vissuto, amato, odiato, sperato, sognato. Emozioni e ricordi per noi che ci avviamo verso l’autunno della vita, formano un cocktail eccezionale di formazione, di pensiero. E quindi il primo amore che non si scorda mai. Le passioni civili e politiche declinate più o meno maldestramente. Le amicizie conquistate, all’apparenza inossidabili e poi magari perdute. Chissà: forse non erano così inossidabili, forse ci credevamo perché avevamo bisogno di aggrapparci a qualcosa di apparentemente sicuro. E molto altro ancora.
C’è un solo modo, a mio parere, per vivere (quasi) serenamente il presente: essere coscienti del proprio passato perché se no, se ti fermi alla quotidianità fatta di mille minuzie abbastanza inutili, rischi la nausea, la noia, la frustrazione. Vale il motto di Filippo Tommaso Marinetti: “Mi nutro di attualità veloce”, ben consci però che questa attualità ha radici salde in quel che siamo stati, in ciò che abbiamo costruito.
Temi buttati alla rinfusa, lo ammetto, che servono però a capire quanto la letteratura sia decisiva per mettere ordine. Lo testimonia l’ultima raccolta di Marco Vichi, scrittore fiorentino da me più volte (e con piacere) narrato. Sì, perché in fondo il recensore altro non è che il narratore (buono o cattivo importa il giusto) dello scrittore. Ne individua limiti e grandezze, furbizie e ingenuità senza perdere di vista il complesso dell’opera. E, devo dire, questi tre racconti appena usciti per Guanda, confermano la bravura di Vichi. Sia chiaro: La casa di tolleranza. Tre avventure del commissario Bordelli, non è tutto uguale, nel senso che i primi due racconti sono impeccabili, il terzo un po’ meno (nonostante tra i protagonisti ci sia nientepopodimeno che Curzio Malaparte e nonostante sia svelata l’origine delle cene della Confraternita del Chianti che ritroviamo nei romanzi di Bordelli).
Ne La casa di tolleranza assistiamo alle imprese di un quasi giovane Bordelli che deve arrestare un tipaccio milanese il quale, per sfuggire alla giustizia e continuare nei suoi loschi traffici ha preso casa nel centro di Firenze. L’anno è il 1949. Firenze sta coscienziosamente ma riservatamente (tipico dei miei concittadini) risollevandosi dai lutti della guerra. Che ci sia qualcosa di poco chiaro in quella persona, Bordelli lo scopre per caso. O meglio per “un caso”. Nella casa davanti al milanese abita infatti Rosa, una prostituta simpatica e solare conosciuta da Bordelli durante un’operazione di polizia in un noto bordello.
Ma Rosa non è l’unica protagonista della vicenda. C’è anche la fidanzata di nobile lignaggio di Bordelli Eliana e il pastore tedesco che il commissario, durante la guerra partigiana, ha salvato da morte certa. Vale a dire Blisk, che sarà decisivo per la risoluzione del caso. Eppure, anche in questo racconto (non entro troppo nei dettagli se no poi Vichi mi picchia…) la forza è data dal contesto. Come non restare piacevolmente ammirati dalla descrizione della casa dei genitori in viale Volta al Campo di Marte o dalla città nei suoi vicoli e nelle sue piazze? Ecco, questo racconto è un esempio perfetto di come l’uso della memoria e del ricordo sia uno dei capisaldi della letteratura.
Molto bello, anche se di tutt’altro tono stilistico, il secondo racconto, ambientato nel 1958: Morto due volte. Stavolta la trama è più decisamente gialla, ma è anche l’occasione per un ripasso di storia contemporanea. Una storia atroce nata in pieno delirio nazista antiebraico con un traditore che Bordelli… e anche qui mi fermo. Dico solo che la trovata è veramente eccezionale. Quale? Leggete per credere, e state attenti ai particolari. Compare, come ormai siamo abituati, anche Bruno Arcieri, eroe uscito dalla penna di un altro scrittore fiorentino, Leonardo Gori. Gori e Vichi ormai ci hanno piacevolmente abituati a questi crossover (si dice così, vero?). Resta il fatto che quel che conta è la memoria. Una memoria incisa nella mente del nostro Bordelli. E, a proposito di stile, un sincero plauso all’Autore per il doppio registro narrativo con quel che racconta uno dei protagonisti e quello che è successo davvero (evidenziato in corsivo).
Insomma, Vichi conferma di essere scrittore a tutto tondo, in grado di narrare il passato per farti capire il presente. Una vera ‘lectio’ di contemporaneità.