Passano, inesorabili, gli anni. Corrono e non li riacchiappi se non con la memoria, con il ricordo. Eppure, se è dolce-amaro perdersi nei meandri del tempo che fu, c’è il presente che incombe o che, al contrario, rende le tue vicende più leggere. Specie se devi risolvere l’ennesimo caso, un bruttissimo caso, “un caso maledetto”, come recita l’ultimo titolo dello scrittore fiorentino Marco Vichi.

Il suo (il nostro) commissario Franco Bordelli torna in azione. Gli mancano pochi giorni alla pensione (ma sarà veramente tale?) e il poliziotto della questura di Firenze, affiancato dal suo braccio destro, il sardo, taciturno e straordinariamente intelligente vicecommissario Piras, si trova di fronte a un crimine orrendo. Un ricco omosessuale fiorentino, il conte Alderigo, è stato brutalmente torturato e poi assassinato nella sua splendida casa in via delle Terme, nel centro che più centro non si può di Firenze. Sia Bordelli che Piras fanno fatica a reggere lo sguardo di fronte allo scempio che è stato fatto di quell’uomo colto e raffinato, già attivo nelle retrovie della Resistenza e salvatore di molti ebrei dalla rabbia nazista durante la guerra.

Le indagini hanno subito una svolta. Poi un’altra ancora, sino al finale che non vi rivelo (se no poi Vichi ci rimane male…), ma che (sì, questo posso scriverlo) ricorda molto della cronaca nera e oscura dell’Italia repubblicana, tra giovani esaltati e gioventù bruciata: i rimandi a Pasolini e ad altri misteri non sono casuali, insomma.

Eppure, la forza del romanzo non sta nella narrazione poliziesca.

Tre gli elementi che mi hanno colpito. Il culto della memoria come legittimazione del presente; la topografia letteraria cittadina; l’amore giovane e ora più certo perché tutto sommato spensierato della giovane Eleonora per il suo Franco.

La memoria si intreccia con i luoghi, tutti rigorosamente fiorentini. Quindi il commissario percorre le strade di San Frediano, del centro, di Campo di Marte (quartiere dove verrà risolto il caso) e i ricordi esplodono potenti. E ancora, come del resto affermava proprio Pasolini, le note di una musica lontana lontana nel tempo accendono considerazioni semplici e terribilmente vere: “Perché non era possibile rimanere per sempre giovani? O almeno perdere la memoria della giovinezza, così da non rimpiangerla?” pensa Bordelli sdraiato sul letto ascoltando note ormai perdute, note dei tempi del liceo. Oppure un certo villino Liberty di via Scipione Ammirato che, in un altro dei personaggi della storia, suscita una beata rimembranza del primo amore che, come si sa, non si scorda mai (per inciso: il personaggio in questione è Bruno Arcieri, protagonista delle avventure di un altro romanziere fiorentino, Leonardo Gori). Ma sbaglieremmo a dipingere Bordelli come un nostalgico. C’è il presente rappresentato dalla bellissima donna che ama (ricambiato), sensuale e intelligente, spiritosa e avvolgente e ci sono gli amici con cui organizza cene condite da ricordi e racconti.

Insomma, torna Bordelli e torna la voglia di leggere un romanzo ben costruito, piacevole come il fuoco di un camino acceso. Attento alla realtà del tempo che scorre eppure senza retorica. Perché poi quel che conta è la vita vissuta momento per momento. Specie se in compagnia del protagonista c’è il fresco vento dell’amore. Un vento che dà forza alla mente (e al corpo, ovviamente).

PS: complimenti a Giancarlo Caligaris per la copertina. Bellissima. Specie per quel giornale che occhieggia. Mi par di conoscerlo…

Francesco Ghidetti