Dietro al tesoro. Dietro al pallone. Dietro al traffico di esseri umani. Nessun dubbio: Michel Bussi, tra i giallisti più famosi d’Europa, colpisce duro con “Il quaderno rosso” (e, ancora una volta, applausi alle edizioni e/o), terribile (nella sua bellezza) storia mediterranea che si dipana tra Marsiglia, Rabat, Beirut.

Si racconta di una vendetta scientificamente organizzata dopo la lettura, appunto, di un quaderno rosso. Tanti i protagonisti. Uno su tutti: Leyli, bellissima donna del Mali che vive lavora soffre (soffre maledettamente) in un piccolo appartamento alla periferia di Marsiglia. Un appartamento per lei e i suoi tre figli. Un appartamento piccolo e ordinato che custodisce un segreto difficile da svelare, ma decisivo per capire l’intreccio (intrecciatissimo).

E poi c’è Bamby, la figlia ventenne, la più bella del reame e la più fredda e determinata a portare a termine la vendetta accompagnata dal fratello. Anzi, dai fratelli. Quello più grande, Alpha, lucido e determinato e Tidiane, piccolo, appassionato di football e, probabilmente, vera chiave di volta di tutto il romanzo. Ancora: i poliziotti, i buoni (ma sarà davvero così?), Petar, il quasi cinico Petar e Julo, “un tenente di polizia gentile, educato, rapido, erudito, quasi impossibile da offendere e perfino dotato di un certo senso dell’umorismo”. Il primo investigatore vecchio stile – e ne vedremo delle belle -, il secondo ipertecnologico eppure così umano, anche troppo. Infine i cattivi, i trafficanti, gli insospettabili trafficanti, di esseri umani. Alcuni di loro faranno una brutta fine. Ma il più perfido, l’uomo che Leyli amava e non vedeva perché cieca (sì, ritrova la vista, ma lui l’ha solo ascoltato e toccato) è nascosto, pronto, a sua volta, a cercare vendetta e a recuperare il tesoro maledetto con un’arma maledetta originaria di Agrigento. Quel tesoro frutto di loschi scambi che hanno segnato (per sempre: si veda il finale) Leyli.

Penserete che gli elementi che vi ho descritti siano troppi. Un piatto speziato eccessivamente? No, un piatto profondamente mediterraneo. Pieno di sole, certo. Pieno di mare, ovvio. Pieno di sapori, di sicuro. Ma soprattutto riboccante di umanità. Un’umanità dolente che vuole (vorrebbe) sperare. Che aspira alla felicità. Il che dimostra che mare sole sapori non sempre vogliono dire bellezza tremenda bellezza. Bisogna guardare sempre oltre. Come dicevano le nostre dolcissime nonne: mai fermarsi alle apparenze…

Francesco Ghidetti