Nazareno è un padre disperato. Che piange, che urla, che non sa darsi una spiegazione. Perché? Perché suo figlio Max è sparito nel nulla? Eppure Max un lavoro ce l’ha. Fa l’autista di un sordido uomo politico che “milita“ (mai virgolette furono più appropriate…) in un piccolo partito ago della bilancia di molti affari più o meno leciti fondato da un antico pescecane dei palazzi romani (ma comunque dotato di una sua, pur discutibilissima, etica). Nazareno ha denunciato la scomparsa, eppure le autorità non paiono essere interessate più di tanto. Nazareno cerca allora l’aiuto del suo amico Marco Paraldi. I due si conoscono da sempre. Marco, infatti, ha cominciato la sua carriera proprio nel giornale (esistito davvero, una storia che è ormai leggenda) dove Nazareno era il capo della tipografia. Nazareno sa che Marco lo aiuterà. Il problema è che Marco ora ha una vineria in Campo de’ Fiori, in una Roma insolitamente fredda: siamo alla vigilia di Natale e potrebbe addirittura nevicare. Il problema è che Marco non è più un giornalista: ha lasciato il mestiere dopo aver schiaffeggiato un ministro dell’Interno un po’ così. E poi Marco ha un debole per il gin tonic (forse ne beve più di quanto dovrebbe) e è fidanzato – o meglio: si accompagna – con Chicca, vent’anni più giovane di lui e molto chic e molto ricca. Un amore platonico, non consumato nella sua interezza, chissà perché. Però, la tentazione di indagare è forte e allora accetta di aiutare l’anziano amico. Quel che segue è terribile, tra sesso, complotti, corruzione, falsità, paure e speranze. E di più non diciamo.
Quel che preme sottolineare, non sembri un paradosso, è che Roncone non ha scritto un giallo, ma un bel romanzo. Il “giallo“ è solo una scusa per raccontare quello che supponiamo sia il grande amore della vita dell’autore: Roma. Roma presente, Roma nella memoria, una memoria che caratterizza con nostalgica tenerezza fatti a volte crudi, a volte edificanti. Eppure, il lettore non creda di trovarsi di fronte al classico motto “Roma non si discute, si ama“. Macché: proprio perché Roma si ama la si discute eccome. Un solo esempio (lo trovate a pagina 192): gli animi dei romani che «sono sempre stati cinici, ma anche aperti, accoglienti, generosi. La mutazione antropologica è stata lenta e inesorabile. Sono diventati un popolo chiuso, sospettoso, avaro, gonfio di rancore». Si può essere d’accordo? Chissà. Giudichi il lettore.
Altro elemento da sottolineare in questo “giallo-non-giallo“ riguarda la caratterizzazione dei personaggi tutti ben delineati. Si pensi solo alla fidanzata (fidanzata?) dello scomparso Max o allo stesso Nazareno, bellissima e tragicissima maschera umana.
Il tutto in un contesto politico. (meglio: politicante) che assume dimensioni narrative di alto livello. Perché il potere, si sa, fa perdere la testa. E, spesso, il senso della vita, quella reale, quella di tutti i giorni.
Un libro da leggere. Non per ammazzare il tempo, bensì per soffrire un po’. E divertirsi. Con serena  consapevolezza della caducità della vita.
Francesco Ghidetti
***
Fabrizio Roncone, Il potere di uccidere, Marsilio

Nazareno è un padre disperato. Che piange, che urla, che non sa darsi una spiegazione. Perché? Perché suo figlio Max è sparito nel nulla? Eppure Max un lavoro ce l’ha. Fa l’autista di un sordido uomo politico che “milita“ (mai virgolette furono più appropriate…) in un piccolo partito ago della bilancia di molti affari più o meno leciti fondato da un antico pescecane dei palazzi romani (ma comunque dotato di una sua, pur discutibilissima, etica). Nazareno ha denunciato la scomparsa, eppure le autorità non paiono essere interessate più di tanto. Nazareno cerca allora l’aiuto del suo amico Marco Paraldi. I due si conoscono da sempre. Marco, infatti, ha cominciato la sua carriera proprio nel giornale (esistito davvero, una storia che è ormai leggenda) dove Nazareno era il capo della tipografia. Nazareno sa che Marco lo aiuterà. Il problema è che Marco ora ha una vineria in Campo de’ Fiori, in una Roma insolitamente fredda: siamo alla vigilia di Natale e potrebbe addirittura nevicare. Il problema è che Marco non è più un giornalista: ha lasciato il mestiere dopo aver schiaffeggiato un ministro dell’Interno un po’ così. E poi Marco ha un debole per il gin tonic (forse ne beve più di quanto dovrebbe) e è fidanzato – o meglio: si accompagna – con Chicca, vent’anni più giovane di lui e molto chic e molto ricca. Un amore platonico, non consumato nella sua interezza, chissà perché. Però, la tentazione di indagare è forte e allora accetta di aiutare l’anziano amico. Quel che segue è terribile, tra sesso, complotti, corruzione, falsità, paure e speranze. E di più non diciamo.
Quel che preme sottolineare, non sembri un paradosso, è che Roncone non ha scritto un giallo, ma un bel romanzo. Il “giallo“ è solo una scusa per raccontare quello che supponiamo sia il grande amore della vita dell’autore: Roma. Roma presente, Roma nella memoria, una memoria che caratterizza con nostalgica tenerezza fatti a volte crudi, a volte edificanti. Eppure, il lettore non creda di trovarsi di fronte al classico motto “Roma non si discute, si ama“. Macché: proprio perché Roma si ama la si discute eccome. Un solo esempio (lo trovate a pagina 192): gli animi dei romani che «sono sempre stati cinici, ma anche aperti, accoglienti, generosi. La mutazione antropologica è stata lenta e inesorabile. Sono diventati un popolo chiuso, sospettoso, avaro, gonfio di rancore». Si può essere d’accordo? Chissà. Giudichi il lettore.
Altro elemento da sottolineare in questo “giallo-non-giallo“ riguarda la caratterizzazione dei personaggi tutti ben delineati. Si pensi solo alla fidanzata (fidanzata?) dello scomparso Max o allo stesso Nazareno, bellissima e tragicissima maschera umana.
Il tutto in un contesto politico. (meglio: politicante) che assume dimensioni narrative di alto livello. Perché il potere, si sa, fa perdere la testa. E, spesso, il senso della vita, quella reale, quella di tutti i giorni.
Un libro da leggere. Non per ammazzare il tempo, bensì per soffrire un po’. E divertirsi. Con serena  consapevolezza della caducità della vita.
Francesco Ghidetti
***
Fabrizio Roncone, Il potere di uccidere, Marsilio

Nazareno è un padre disperato. Che piange, che urla, che non sa darsi una spiegazione. Perché? Perché suo figlio Max è sparito nel nulla? Eppure Max un lavoro ce l’ha. Fa l’autista di un sordido uomo politico che “milita“ (mai virgolette furono più appropriate…) in un piccolo partito ago della bilancia di molti affari più o meno leciti fondato da un antico pescecane dei palazzi romani (ma comunque dotato di una sua, pur discutibilissima, etica). Nazareno ha denunciato la scomparsa, eppure le autorità non paiono essere interessate più di tanto. Nazareno cerca allora l’aiuto del suo amico Marco Paraldi. I due si conoscono da sempre. Marco, infatti, ha cominciato la sua carriera proprio nel giornale (esistito davvero, una storia che è ormai leggenda) dove Nazareno era il capo della tipografia. Nazareno sa che Marco lo aiuterà. Il problema è che Marco ora ha una vineria in Campo de’ Fiori, in una Roma insolitamente fredda: siamo alla vigilia di Natale e potrebbe addirittura nevicare. Il problema è che Marco non è più un giornalista: ha lasciato il mestiere dopo aver schiaffeggiato un ministro dell’Interno un po’ così. E poi Marco ha un debole per il gin tonic (forse ne beve più di quanto dovrebbe) e è fidanzato – o meglio: si accompagna – con Chicca, vent’anni più giovane di lui e molto chic e molto ricca. Un amore platonico, non consumato nella sua interezza, chissà perché. Però, la tentazione di indagare è forte e allora accetta di aiutare l’anziano amico. Quel che segue è terribile, tra sesso, complotti, corruzione, falsità, paure e speranze. E di più non diciamo.
Quel che preme sottolineare, non sembri un paradosso, è che Roncone non ha scritto un giallo, ma un bel romanzo. Il “giallo“ è solo una scusa per raccontare quello che supponiamo sia il grande amore della vita dell’autore: Roma. Roma presente, Roma nella memoria, una memoria che caratterizza con nostalgica tenerezza fatti a volte crudi, a volte edificanti. Eppure, il lettore non creda di trovarsi di fronte al classico motto “Roma non si discute, si ama“. Macché: proprio perché Roma si ama la si discute eccome. Un solo esempio (lo trovate a pagina 192): gli animi dei romani che «sono sempre stati cinici, ma anche aperti, accoglienti, generosi. La mutazione antropologica è stata lenta e inesorabile. Sono diventati un popolo chiuso, sospettoso, avaro, gonfio di rancore». Si può essere d’accordo? Chissà. Giudichi il lettore.
Altro elemento da sottolineare in questo “giallo-non-giallo“ riguarda la caratterizzazione dei personaggi tutti ben delineati. Si pensi solo alla fidanzata (fidanzata?) dello scomparso Max o allo stesso Nazareno, bellissima e tragicissima maschera umana.
Il tutto in un contesto politico. (meglio: politicante) che assume dimensioni narrative di alto livello. Perché il potere, si sa, fa perdere la testa. E, spesso, il senso della vita, quella reale, quella di tutti i giorni.
Un libro da leggere. Non per ammazzare il tempo, bensì per soffrire un po’. E divertirsi. Con serena  consapevolezza della caducità della vita.
Francesco Ghidetti
***
Fabrizio Roncone, Il potere di uccidere, Marsilio

azareno è un padre disperato. Che piange, che urla, che non sa darsi una spiegazione. Perché? Perché suo figlio Max è sparito nel nulla? Eppure Max un lavoro ce l’ha. Fa l’autista di un sordido uomo politico che “milita“ (mai virgolette furono più appropriate…) in un piccolo partito ago della bilancia di molti affari più o meno leciti fondato da un antico pescecane dei palazzi romani (ma comunque dotato di una sua, pur discutibilissima, etica). Nazareno ha denunciato la scomparsa, eppure le autorità non paiono essere interessate più di tanto. Nazareno cerca allora l’aiuto del suo amico Marco Paraldi. I due si conoscono da sempre. Marco, infatti, ha cominciato la sua carriera proprio nel giornale (esistito davvero, una storia che è ormai leggenda) dove Nazareno era il capo della tipografia. Nazareno sa che Marco lo aiuterà. Il problema è che Marco ora ha una vineria in Campo de’ Fiori, in una Roma insolitamente fredda: siamo alla vigilia di Natale e potrebbe addirittura nevicare. Il problema è che Marco non è più un giornalista: ha lasciato il mestiere dopo aver schiaffeggiato un ministro dell’Interno un po’ così. E poi Marco ha un debole per il gin tonic (forse ne beve più di quanto dovrebbe) e è fidanzato – o meglio: si accompagna – con Chicca, vent’anni più giovane di lui e molto chic e molto ricca. Un amore platonico, non consumato nella sua interezza, chissà perché. Però, la tentazione di indagare è forte e allora accetta di aiutare l’anziano amico. Quel che segue è terribile, tra sesso, complotti, corruzione, falsità, paure e speranze. E di più non diciamo.

Quel che preme sottolineare, non sembri un paradosso, è che Roncone non ha scritto un giallo, ma un bel romanzo. Il “giallo“ è solo una scusa per raccontare quello che supponiamo sia il grande amore della vita dell’autore: Roma. Roma presente, Roma nella memoria, una memoria che caratterizza con nostalgica tenerezza fatti a volte crudi, a volte edificanti. Eppure, il lettore non creda di trovarsi di fronte al classico motto “Roma non si discute, si ama“. Macché: proprio perché Roma si ama la si discute eccome. Un solo esempio (lo trovate a pagina 192): gli animi dei romani che «sono sempre stati cinici, ma anche aperti, accoglienti, generosi. La mutazione antropologica è stata lenta e inesorabile. Sono diventati un popolo chiuso, sospettoso, avaro, gonfio di rancore». Si può essere d’accordo? Chissà. Giudichi il lettore.
Altro elemento da sottolineare in questo “giallo-non-giallo“ riguarda la caratterizzazione dei personaggi tutti ben delineati. Si pensi solo alla fidanzata (fidanzata?) dello scomparso Max o allo stesso Nazareno, bellissima e tragicissima maschera umana.
Il tutto in un contesto politico. (meglio: politicante) che assume dimensioni narrative di alto livello. Perché il potere, si sa, fa perdere la testa. E, spesso, il senso della vita, quella reale, quella di tutti i giorni.
Un libro da leggere. Non per ammazzare il tempo, bensì per soffrire un po’. E divertirsi. Con serena  consapevolezza della caducità della vita.
Francesco Ghidetti
***
Fabrizio Roncone, Il potere di uccidere, Marsilio