L’accusa: le tue recensioni non hanno mai accenti critici. Il che non è pienamente vero. È quasi vero. La risposta, la mia risposta: perché mai dovrei tediarvi con romanzi brutti o discutibili? Non bastano gli affanni quotidiani, e via elencando inciampi di genere vario e di infinito elenco? Perché dovrei proporvi pagine noiose o irritanti?

Ecco, questa intemerata è una difesa preventiva perché sto per proporvi un capolavoro. Mi era sfuggito. Un po’ perché conosco l’autore solo di fama (e che fama: si chiama Francesco Recami, autore del ciclo, tra l’altro, della Casa di ringhiera, sorta di gialli ambientati in una Milano dal fascino antico); un altro po’ perché di questo romanzo (L’educazione sentimentale di Eugenio Licitra) non si è parlato molto, nonostante l’editore sia uno di quelli che contano, vale a dire Sellerio di Palermo. E francamente non riesco a capire perché.

Recami è scrittore a tutto tondo, come si dice. Soprattutto, sa scrivere. Un ossimoro? No. Grandissimi narratori non avevano nella penna un bell’italiano (esempio classico: Italo Svevo). Lo scrittore fiorentino, classe 1956, ha un periodare di rara bellezza. Mai (fate la prova) il lettore torna su una sua frase per coglierne meglio senso e significato, la trama è chiara, i personaggi delineati con penna ferma e rigorosa, l’ironia a volte perfida a farla da padrona.

In quest’ultimo romanzo, poi, la risata è d’obbligo perché Recami prende di mira moltissimi tic italiani. Dalla retorica del fuorisede che viene dalla profonda Sicilia e ha la mamma che gli chiede in continuazione se ha mangiato a una Firenze respingente pur nella sua bellezza. Da un biennio terribile (il 1976-77) per la nostra storia all’imperdibile descrizione del clima politico che, a ben ripensarci, era quasi comico nella sua tragicità. Dai sogni di un ragazzo (Eugenio, appunto) alla dissacrazione di mostri sacri della filosofia contemporanea che scrivevano tomi incomprensibili, ma di cui era impossibile parlar male perché “impegnati”. E ancora, dalle ragazze caste e pure alle ragazze imbroglione. Dai maglioni a collo alto ai jeans e all’aria impestata di puzzo di sudore e sigarette delle case dei fuorisede.

La storia di Eugenio – che viene da Ragusa e studia filosofia a Firenze – è narrata con allegra leggerezza e si dipana per mille rivoli. Sì, si tratta davvero di un’educazione sentimentale. Con i co-protagonisti come Loris, il romagnolo innamorato (ovviamente) della auto o come il Saggio o come l’arrogante e supponente D. (alla fine messo a tacere e di più non dico). Un romanzo che, soavemente, rende l’idea di quel periodo confuso e tutto sommato abbastanza scemo, tra pulsioni pseudo-rivoluzionarie e una società che, nonostante il tanto decantato Sessantotto, faceva fatica a liberarsi di certi orpelli reazionari. E poi, le ragazze. Di cui innamorarsi (Cristina), da cui farsi ingannare (Eleonora). Recami si comporta molto bene anche nei dettagli dell’epoca con quelle canzoni dai testi improbabili (impossibile non sganasciarsi dalla risate a rileggerli decenni dopo) e con quei fumetti porno-soft (non male anche le scene di sesso). O con i viaggi di notte per tornare in Sicilia.

Insomma, un romanzo dissacrante e che mette di buonumore. Leggetelo (avvertenza: solo la scena di Eugenio nella porcilaia vale tutto il libro).

Basta così. Se no mi dicono che esagero con gli aggettivi…