Quando gusto un libro, un romanzo in particolare, tengo accanto a me giusto il necessario. Una matita. Un quadernino: a spirale, copertina rossa con sopra scritto, in verde, un pomposo “letteraria”. Gli occhiali. Preferisco leggere seduto a un tavolo grande, anche se sopra ho quelle poche cose. Direte: e a noi che ce ne importa? In effetti sono dettagli di carta velina. Ma importanti. Perché con la matita sottolineo le parti o le parole che più mi colpiscono. Tranquilli, arrivo al punto.

Se alla fine della lettura il libro è tutto sottolineato o non ho capito un tubo o le pagine sono tutte da leggere, senza pause. E’ proprio quel che mi è successo con l’ultima chicca, davvero: non ve la perdete, di Giampaolo Simi, toscano di Viareggio, da tempo in prima fila nelle numerose (anche troppo) falangi della letteratura contemporanea.

I ragazzi della Sellerio (che fanno davvero del bene all’umanità) mandano in libreria (meglio: han mandato da un po’ di tempo) un romanzo di difficile aggettivazione: “Come una famiglia”. Io non so se i titoli sono, com’era una volta, firmati dall’editore. Ma so, questo sì, che quelli di Giampaolo sono sempre bellissimi nella loro semplicità. Si pensi solo a “Cosa resta di noi” (evocativo e struggente) o “La ragazza sbagliata” (che incuriosisce).

”Come una famiglia” è anch’esso centrato e mantiene perfettamente le promesse. Tali e tante le suggestioni narrative da me appuntante, che faccio fatica anche solo a elencarvele. In primo luogo, il contesto. Questa Toscana di costa (la Versilia) attraversata da malinconiche e però non respingenti incertezze. Quasi fosse una parte d’Italia sempre pronta all’autocritica (nella realtà non lo è più, ma è un altro discorso). Questo scandire narrativo che si maschera da giallo, da noir, in realtà è tutta una scusa per raccontare il presente con accenti giustamente critici, senza, si diceva una volta, guardare in faccia a nessuno o senza ammiccamenti. Questa rappresentazione delle umane debolezze, magistrale nella sua semplicità. E poi, evviva perché ormai in troppi scrivono senza seguire le regole base della narrazione!, entra in scena il protagonista, con un io narrante frutto di un’intensa ricerca stilistica. Lo fa piano piano. Fino a conquistare la centralità della scena.

Il suo nome è Corbo, Dario Corbo, giornalista viareggino già trapiantato a Roma, separato dalla bella Giulia, padre di Luca, promessa – e che promessa – del football. Ora, ormai cinquantenne ingrigito, tornato nella sua Versilia e capo ufficio stampa di una fondazione diretta (magnifica trovata letteraria) da Nora, fatal donna che proprio Dario “perseguitò” da cronista (qui leggetevi “La ragazza sbagliata”, sempre di Sellerio, per capire meglio). La tecnica di Simi, oramai scrittore completo, suscettibile, fatti tutti gli scongiuri va bene…, solo di miglioramenti, è incredibile. Nelle prime 64 pagine ci descrive “il contesto”, poi, come una frustata, comincia la storia serrata e zeppa di colpi di scena.

Ciò detto, e ribadendo che non si tratta di un noir tout-court, vi accenno brevemente la trama.

Luca, il figlio così amato e così bravo a giocare a pallone, viene incolpato di aver violentato e seviziato una ragazza. Un orrore che si materializza a poche ore dal compimento del diciottesimo anno di età. La strategia narrativa di Simi si basa su una sorta di lettera-riassunto che il padre scrive al figlio. Il che fa supporre un finale con Dario sano e salvo. Già. Ma a qual prezzo? Non starò a dirvelo – se no mi prendereste per un sadico -, ma certamente Dario paga, e tanto, terribilmente tanto, anche se il finale… No, non vado oltre, mi sento già in colpa.

E il messaggio, come, nella nostra lontana e assai rimpianta adolescenza, ci dicevano i professori? C’è, eccome. Un atto di accusa verso le nevrosi e le paranoie (pericolose) dell’oggi. Imputato numero uno il mondo del calcio, coi suoi riti invasati, con la sua perdita totale di innocenza, con la sua, diciamolo con franchezza, noia infinita fatta di soldi e speculazioni, di ignoranza e spogliatoi densi di muscoli e poco cervello. Dettagli non di poco conto visto che Simi (civettuolo, si definisce tifoso del St. Pauli: scoprite voi il perché. Io mi accontento dell’Aek Atene) è un grande appassionato di football.

I primi passi, oramai sono passati due decenni, li mosse, tra l’altro, su un esperimento di sicuro spessore: la rivista “Rigore” che coniugava in modo elegante il calcio con la cultura (e non sembri un ossimoro, basti pensare, per fare gli esempi più facili, a Arpino o Soriano). Simi ama il calcio e, chissà, rimpiange radioline a transistor, trasferte in cinquanta persone, lunghe attese sugli spalti, spasmodica voglia di vedere i “riflessi filmati” (per lo meno io ne ho nostalgia, sono fra gli “old football lovers against modern football”). Ora, invece, il tifoso o l’appassionato è costretto a gimkane tra canali tv, plusvalenze (scusate: ma vi pare che ci si debba occupare di plusvalenze senza vedere i gol!?), dichiarazioni e impresentabili tatuaggi.

Altro elemento che ci costringe a consigliarvi la lettura di Simi è la pittura, rapida ed essenziale, delle figure femminili. La poliziotta tosta, la magistrata affettuosa che forse dovrebbe bere di meno, la moglie-non-più-moglie che perde le staffe in continuazione, il figlio un po’ bugiardo e un po’ capra che si riscatta per eventi non dipendenti dalla sua volontà. E poi c’è lei, Nora. Bella, tormentata, intelligente. Di lei è facile innamorarsi. Lo so, vorreste sapere se a Dario batte forte forte il cuore… Non ve lo dico manco sotto tortura. Arrivate alle ultime due righe e lo saprete.

Eppure, a conclusione di queste brevi riflessioni, mi son chiesto: non avrò esagerato nelle lodi? Eppure un errore ci dev’essere nel libro di Giampaolo. Macché, nemmeno una sbavatura. Ma poi, come tutti i lettori di professione che si rispettino, l’occhio mi è caduto su uno sbaglio. A pagina 205. La “FGCI” era la gioventù comunista. La “FIGC” è la Federcalcio. Perbacco, mica si può essere perfetti…

Ultima notazione: il mondo dei social è presente come pochi. Nel bene e nel male. Ma non sono d’accordo che sia, come autorevoli colleghi hanno scritto, la chiave di volta del romanzo. Sono ‘solo’ la rappresentazione della realtà.

LA FRASE PiU’ BELLA (E VERA SE SI E’ GENITORI): “Sei mesi di sedute finite in un nebuloso colloquio tra noi e lo psicoterapeuta” (della serie: il guaio di essere genitori apprensivi, “democratici” e magari giornalisti).

GIAMPAOLO SIMI, Come una famiglia, Sellerio, 425 pagine, 15 euri