«LA STRADA maestra». «Solo se c’è un accordo». «Scelgano i cittadini». «Zitto te che sei stato nominato». E via dicendo. Non c’è verso. Le primarie in Italia sono brutte, sporche e inutili. Vero: è da poco che si praticano, ma questi continui «stop and go» sono il frutto (più che avvelenato) di una classe dirigente (meglio: di un ceto) inadeguata alla bisogna. Quando nacquero avevano una missione: riavvicinare i cittadini a una politica che non aveva mantenuto la promessa catartica del dopo-Tangentopoli. Dovevano diventare un potente strumento di cambiamento e non una pratica di potere per il potere. La parola «partecipazione» era un mantra. Milioni di cittadini festosi vanno alle urne, scelgono e tornano a casa felici. Poi, però, lo strumento si arrugginisce e gli scricchiolii son sinistri. In entrambi gli schieramenti, prevalgono logiche correntizie di dubbio gusto. Oppure, ed è il caso del centrodestra, ognuno dice la sua in libertà. E se Berlusconi pratica da sempre l’arte del dubbio, Forza Italia ondeggia non sapendo che pesci prendere: dal governatore della Liguria Giovanni Toti che ogni giorno ne dice una diversa, al leader leghista Salvini che vuole le primarie e «sfida Berlusconi» salvo cambiare idea dopo poche ore: «Facciamole se non c’è un accordo».

ANCOR più imbarazzante il centrosinistra. Una volta c’è la denuncia di brogli. Un’altra la bagarre sulla raccolta delle firme. Un’altra ancora su chi vota (celebre la feroce polemica sulle file dei rom ai seggi capitolini). Aspetti cupi e folcloristici insieme. Ma che hanno un unico, gravissimo, punto in comune: le primarie farlocche, espressione di oligarchie simil-partitiche, portano a un solo risultato e cioè a candidati ingestibili se non dannosi. Basti pensare a quanto accaduto a Roma. Corrono in tanti, vince Ignazio Marino il cui comitato elettorale raccoglie le firme in 24 ore (Patrizia Prestipino ci aveva messo sei mesi…). Coi risultati che tutti vediamo ogni giorno. Con una città come Roma (Roma, la Capitale) che dà di sé un’immagine devastante all’universo mondo. Insomma, poche storie, ripensate ’ste primarie. Affinché siano un bel romanzo d’avventura. E non un hard-boiled di serie B che non garberebbe nemmeno a Quentin Tarantino…