Via Toscana. Piazza Maggiore. Il Molino Parisio. Via Indipendenza. Piazza Re Enzo. Un po’ più in là, Castenaso. E tanto altro ancora. La topografia della memoria, potremmo dire. O meglio: la mappa di una Patria urbana. Ecco a voi Bologna, con le sue paure e le sue speranze. Ecco Bologna, con le sua gioia di vivere e la sue malinconie.

E’ questo il senso ultimo di un libro, stampato da Marsilio (qualità assicurata) e scritto dal professor Marcello Dòmini, classe 1965, chirurgo pediatrico presso il nostro Ateneo: “Di guerra e di noi”. Un romanzo di formazione. Un romanzo d’amore. Un romanzo che, bolognese antico o moderno tu sia, deve fare bella mostra di sé nella libreria di casa. Perché racconta, e lo racconta bene a parte alcune, veniali, imperfezioni, la nostra storia attraverso il protagonista, l’impareggiabile Ricciotti.

Si parte dalla prima guerra mondiale per arrivare alla Liberazione dal mostro nazi-fascista.

C’è una famiglia di Castenaso che vive suda lavora. Muore il padre, il vecchio nonno ha ormai perso la testa pensando al suo Garibaldi e si dondola sulla sedia davanti al caminetto. C’è la nonna, severa e dolcissima come tutte le nonne. C’è la mamma, la mamma che tutto fa e che rimane giovane vedova. Ci sono, soprattutto, loro due. I fratelli Ricciotti e Candido, il maggiore che tira scappellotti affettuosi al minore, tra scherzi, finte litigate e tanto, tantissimo amore.

Sullo sfondo, la Grande Storia. La Storia del fascismo, dell’antifascismo, del biennio rosso, della lotta alla dittatura, di Mussolini e di un bolognese doc, tratteggiato dall’Autore con pennellate forti: Leandro Arpinati, il ras della prima ora, il preferito da Mussolini che poi, però, si distaccherà finendo addirittura al confino e collaborando con la Resistenza, mai dimentico del grande amore per il calcio, per il suo Bologna di rossoblu vestito. Una presenza costante, quella di “Sua Eccellenza”, nella vita di Ricciotti e, di conseguenza, di Candido. Arpinati che è nemico acerrimo di Achille Starace, che pagherà di persona. Sia chiaro: l’indipendenza del ras non toglie nulla alle sue colpe, al suo aver guidato le squadracce contro inermi circoli socialisti, repubblicani e anarchici. In questo affresco si coglie l’essenza della bolognesità. Storie di ordinario eroismo, storie che aiutano a ripassare le nostre vicende. Insomma, è come se, attraverso il buco della serratura della città, vedessimo l’Italia, l’Europa e il mondo. E, soprattutto, le sue infinite debolezze, le grandezze e le meschinità. Dal corrottissimo regime fascista, a quella letteratura cittadina espressa in dialetto (le pagine più belle) attraverso le cronache del “Carlino”, della nostra, come amava ripetere Benedetto Croce, preghiera quotidiana. In tal senso, il libro di Dòmini ha una funzione pedagogica perché ci aiuta a fare un bel ripasso di Storia. E, non per ultimo, ci dà la cifra di quanto, alla fin fine, più ­di tutto poté il sentimento, l’amore, il sentirsi comunità, paradigma assoluto delle generazioni che sono state protagoniste del Novecento. La prosa del professore (che, come moltissimi luminari ha un rapporto d’amore intenso con la letteratura) è secca, nulla concede ai barocchismi e alla retorica, a parte qualche frase un po’ così dal sen fuggita (il “rotondo 4 a 2”, “l’ognuno inseguendo i propri pensieri”, il “fruibile”, l’”eloquente gesto della mano”).

La storia di una famiglia, dunque. La storia di una città da amare, sembra essere il “messaggio” dello scrittore. Una storia da studiare. Perché, si sa, un romanzo può avere più forza di mille saggi. E “Di guerra e di noi” ne è la dimostrazione. Specie in tempi duri, di chiusura, paura, crisi. Sarà banale, ma ogni tanto voltarsi indietro fa bene. Per vedere quel che eravamo e per cercare di capire quel che saremo. Perché, mettila come vuoi, la ragione non sta da una parte sola. No. Ma la bilancia della Storia è precisa. E, prima o poi, il suo conto lo presenta. Salato e amaro. Ma senza infingimenti. Quindi, meglio correre in libreria. Per leggere noi stessi. Bolognesi da sempre, bolognesi da poco. Bolognesi, comunque.