E se fosse la memoria, e solo essa, a legittimare il nostro presente? E se fosse la memoria a dettare le tappe, spesso faticose, della nostra vita? E se la memoria fosse sempre in agguato, pronta ad aggredirti quando meno te lo aspetti per farti soffrire nel ricordo di una stagione che fu? E che, essendo ormai passata, è irripetibile nel bene e nel male? Domande semplici semplici, fors’anche scontate. Eppure me le sono poste dopo aver letto l’ultimo romanzo di Gianrico Carofiglio intitolato “La misura del tempo” (Einaudi, 19 euro).

Vero: formalmente ho letto un ‘giallo’. Meglio: mi sono appassionato a un qualcosa che somiglia a un legal thriller o, come dire, a una ‘legal story’. La cui trama, tasto su cui insisto sempre su queste pagine web, è semplice semplice e, tutto sommato, accessoria. Si tratta di capire se un condannato è effettivamente colpevole. Fa la sua parte, e la fa bene, l’avvocato Guido Guerrieri, personaggio già assai noto alle patrie lettere, in una Bari piovosa e soleggiata, non solo dal punto di vista meteorologico. Il Nostro indaga, va a processo e poi, come al solito, il finale non ve lo dico.

Ma il gusto forte del libro non sta nella legal story o come caspita vogliamo definirla (un romanzo è bello o brutto, non importa se giallo, rosa o d’avventura: evito, per quanto mi è possibile, di farmi prendere da ansie classificatorie). No, i sapori stanno tutti nei personaggi e nella loro vita presente che deve fare i conti – e che conti… – col passato. Come se questo passato si ripresentasse nella sua inesorabile dolce ferocia, e non sembri un paradosso, a ricordarci che quasi mai abbiamo messo tutto a posto.

Insomma, a leggere Carofiglio, mi pare che valga quella splendida massima di Karl Popper che, tra il serio e il faceto, sosteneva essere la vita un tentativo di schivare pallonate. Il problema, infatti, è che la madre del condannato, Lorenza, è stata una fidanzata, completamente svalvolata eppur dotata di un fascino e una sensualità non comune a molte donne, di Guerrieri. Il quale, figlio del baby boom, ha avuto con lei una tormentata storia d’amore in gioventù.

Il piano narrativo di Carofiglio si divide in due: le indagini che raccontano il presente e il ricordo, la memoria appunto, che rievoca il passato. Un passato come a tanti di noi è successo di vivere. Sia chiaro: lo scrittore non parla dell’”amore di una vita” o del “primo amore che non si scorda mai”. Però, è impietoso nel mettere sulla pubblica piazza così tanti sentimenti forti, da capogiro, specie se si ha una certa età, se, appunto, si è figli dei primi anni Sessanta. Come non sentire uno sfarfallio nello stomaco a leggere questa frase? “Qualcuno una volta mi ha detto che le cose più belle da ricordare sono i sogni che avevi da ragazzo, soprattutto se, almeno in parte, li hai realizzati. Risuonano della nota struggente del passato e possiedono l’esaltazione indistinta del futuro”.

Oppure: “Col tempo un ricordo non raccontato diventa sempre meno vero. Per poi confondersi con materiali ancora più impalpabili della nostra mente: sogni, fantasticherie, leggende private”. Vale quindi la massima di Cesare Pavese nei “Dialoghi con Leucò”: Io cercavo, piangendo, non più lei ma me stesso”.

Il romanzo è comunque ricco di altri spunti. Si impara molto sulle tecniche processuali, sul ruolo del pm e della difesa. Si impara, come sempre nei romanzi di Carofiglio, che cosa significa stare nei palazzi di Giustizia e misurarsi con la legge.

Ma soprattutto si impara che non è possibile fermare il tempo. Che corre. Forte forte. “Forse potrebbe essere proprio lo stupore – se fossimo capaci di impararlo – l’antidoto al tempo che accelera in questo modo insopportabile (…). Il tempo scorre veloce quando si invecchia perché, di regola, si ripete sempre uguale. Le possibilità di scegliere si riducono, le vie sbarrate si moltiplicano, fino a quando tutto pare ridursi a un unico, piccolo sentiero”. Niente di più vero. Vale per l’avvocato Guerrieri, vale per tutti noi. Perché così è. Poteva andare meglio? Poteva andare peggio? Chissà. Intanto difendiamoci con la letteratura. Specie quella che scorre impetuosa. Come in questo romanzo. Bello. Solo una piccola annotazione: perché inserire il dialogo, il faccia a faccia tra Guido e il sacco da pugilato? Una divagazione che, con affettuosa franchezza, lascia davvero il tempo che trova.

Francesco Ghidetti