Vuoi per passione, vuoi per esigenze di lavoro, mi reco spesso in libreria. Quando sono allegro per festeggiare. Quando sono malinconico per affrancarmi dagli affanni della vita. Una settimana fa, nonostante il sole abbracciasse la mia ex patria urbana, ero decisamente giù di morale. E, quindi ho pensato bene di andare in libreria.

Sguardo rapido alle novità ed ecco che si staglia, con una magnifica copertina dai magnifici colori blu mare, l’ultima fatica di Petros Markaris, lo scrittore greco (ancorché nato a Istanbul nel 1937, ma questa storia ve l’ho raccontata mille volte) più noto al pubblico. I suoi gialli, affresco in realtà dell’Atene di oggi, sono tra i più venduti. Il suo protagonista (ma anche questa ve l’ho già detta…), il commissario Charitos con contorno di moglie figlia, amici, nipote, genero eccetera, contribuisce a dare forza al cosiddetto giallo mediterraneo. Là, dove non c’è bisogno di orribili scene di sangue (come accade per gli scandinavi o alcuni anglosassoni) per dare sostanza all’azione narrativa.

Subito, però, e perdonatemi questa lunga digressione autobiografica, mi è venuto, come dire, senso di diffidenza. Infatti, Quarantena (questo il titolo del libro) non è un romanzo, ma una raccolta di racconti, quasi tutti ambientati in era-pandemia. E il racconto è per me la più alta forma letteraria. Anche la più difficile. Un racconto è bello o brutto, e io molto esigente. Fatto sta che ho comprato il libro. L’ho letto e ho deciso che ne valeva la pena. Charitos è protagonista di tre dei sette racconti, gli altri descrivono la Grecia in preda a questo morbo malefico che vuole tenerci compagnia per chissà quanto ancora. Direi che i mini racconti galli con protagonista il commissario sono ben costruiti, si vede il mestiere dello scrittore di successo. Mi riferisco in particolare a Mi chiamo Covid e uccido, dove la trovata narrativa (che ovviamente non vi svelo) è geniale nella sua semplicità. Eppure, stavolta, il vero e proprio capolavoro è Ristorante Karaghiòzis, sintesi mirabile del rapporto tra greci e turchi, tra letteratura e gastronomia.

Gli altri racconti descrivono, con toni puntuali e di dolce disperazione, i nuovi poveri. Che lottano per una vita più dignitosa. Un quadro ellenico molto efficace per una nazione nostra sorella (e che io amo assai) che, dal 2004 in poi, ne ha viste di tutti i colori, ben oltre la pandemia.

Mi fermo qui. Con un consiglio. Leggete quest’ultima fatica di Markaris (edito da La nave di Teseo) magari mentre siete in fila a fare il vaccino: ansie e timori (ingiustificatissimi, peraltro) svaniranno all’istante. Vi divertirete, non perdendo di vista però la realtà. Siamo alle solite: se il vaccino ci salverà il corpo, la letteratura ci salverà la mente. Date retta a un anziano giovanotto come me.