Ci sono delle cose, degli appuntamenti, specie in letteratura, che ti danno sicurezza. Le cerchi, le agogni e, una volta trovate, ti avvolgi in esse con indicibile voluttà. Sarà un’immagine stereotipata, lo ammetto, ma non me ne vengono altre. Avete presente le giornate fredde e uggiose d’inverno? Tornate a casa e trovate il caldo. Vi mettete in tuta, apparecchiate la tavola, l’acqua nella pentola con un poco di sale, il sughino coi pelati e, dopo un po’, con magica semplicità, appare una bella scodella con dei magnifici spaghetti al pomodoro. Il tutto accompagnato da un buon bicchiere di rosso.

Tutta questa introduzione a mo’ di metafora per dire che leggere Marco Malvaldi dà questa sensazione di sicurezza e tranquillità. Perché, in tempi come questi, stretti come siamo tra il malefico morbo e le beghe di tutti i giorni (faticose, faticosissime più che altro a livello psicologico), bisogna trovare zone di comfort. E tra queste zone di comfort va sicuramente annoverato Bolle di sapone, ultimo romanzo dello scrittore pisano (edito, come sempre, da Sellerio).

Un romanzo agile, come si sarebbe detto una volta, che però, secondo me, presenta significative novità. Una su tutte: non è una commedia gialla, come qualcuno ha scritto (anche in quarta di copertina). E’ una finta commedia gialla, in realtà. Si tratta infatti di un affresco bozzettistico molto toscano. Una rappresentazione perfetta dell’”altra Toscana”, quella della costa che da sempre fa da contraltare a quella “classica”, di terra (Firenze, Prato e Siena, per capirsi). Una Toscana densa di storia e di umanità.

E proprio nell’umanità sta la seconda bellezza del libro. La trama lo dimostra tra battute in vernacolo (fintamente oscene) e slanci di affetto familiare e di amicizia sedimentata nel corso dei decenni. Una trama il cui esito finale vale tutto il romanzo. Una coppia di anziani coniugi viene uccisa in Calabria: lui per un colpo di fucile, lei per una dose letale di botulino. Il sospettato numero uno è il figlio e da lì si snodano le indagini.

Il tutto inserito (e inserito bene) in un contesto (e questo è il terzo punto di forza delle pagine di Malvaldi) molto molto difficile: siamo infatti in pieno lockdown e i vecchietti del BarLume devono fare i conti con l’impossibilità di andare al bar di Massimo. Il quale, da par suo, deve fare i conti a sua volta con una serie di problemi: nonno Ampelio è in ospedale perché è caduto e si è fatto male; convive con la Gigina, la super mamma, intelligentissima e bravissima, ma un po’ faticosa da sopportare quando è non in giro per il mondo per lavoro; nonno Ampelio viene curato da Laura, ex moglie di Massimo (i due, ricorderete, si sono lasciati perché lei ha avuto un amante). Ma soprattutto Massimo, oltre alla gestione del bar che cambia completamente con le chiusure forzate, soffre perché, proprio in Calabria, c’è, anch’ella bloccata, l’amata Alice (la quale, ovviamente, sarà protagonista nelle indagini e anche di qualcos’altro…). I “ragazzi” del BarLume indagheranno a distanza (e qui siamo al punto numero quattro) con le moderne tecniche di comunicazione che abbiamo sperimentato in quei mesi maledetti. E naturalmente arriveranno a svelare che cosa e chi ha ucciso la coppia. Di più non scrivo, aspettatevi un bel regalo da Malvaldi.

Dunque, un romanzo breve da leggere e da assaporare, spaparanzati su un divano e tenendo a mente che la generosità e l’affetto saranno i padroni assoluti. Parole criptiche, mi rendo conto. Le capirete (e sarete sicuramente d’accordo con me) dopo aver letto Bolle di sapone di questo macchiaiolo della letteratura d’evasione che risponde al nome di Malvaldi, Marco Malvaldi.