Leggere quella che, con linguaggio antico, si sarebbe definita “l’ultima fatica” di Fabio Stassi (Ogni coincidenza ha un’anima per Sellerio) mette di buon umore. Semplicemente, dopo aver chiuso il libro, capisci che quei 14 euri dati al libraio sono cosa buona e giusta. Come sa chi ha la bontà (pazienza?) di seguirmi, nell’ultimo periodo le mie recensioni hanno tentato di rispondere a una domanda impegnata e impegnativa: esiste o no la “letteratura cittadina”? E’ ragionevole certificarla come ‘genere’ letterario? Per ora, le mie indagini dimostrano – ma ne fornirò ulteriori e inoppugnabili prove – che sì, la letteratura cittadina è un genere letterario con i suoi canoni e le sue regole. La città, insomma, è protagonista delle storie, più o meno belle, che i nostri romanzieri propongono (o ci propinano, a seconda dei gusti).

Nel caso di Stassi, Roma è protagonista assoluta. Una Roma poco solare. Una Roma tanto (troppo, diciamolo subito) cupa. Una Roma che fa mostra di sé attraverso le vie, i viali, i vicoli, le piazze del rione Monti, tra via Merulana, piazza Vittorio Emanuele (occhio: i romani la chiamano solo ‘piazza Vittorio’) un tempo – oramai legato alla nostra beata gioventù e quindi lontano assai – sede di un magnifico mercato cittadino che “continuava a modellare quella piazza, come se ogni pietra o foglia o punto di terra avessero registrato le voci che l’avevano animata per quasi un secolo. Cambiavano gli attori e i dialetti, ma i traffici erano sempre gli stessi”. Magnifica pennellata che, più o meno consciamente, nasconde – il che non è poco, visti i tempi bui che stiamo vivendo – un preciso intento anti-razzista (Monti è il quartiere più ‘multietnico’ di Roma). Ma su questo aspetto torneremo.

La Roma di Stassi ripercorre un itinerario, come il lettore avrà intuito, molto gaddiano. Sembra di ascoltare le vibrazioni del Gran Milanese che in Monti ambientò il suo ‘non giallo’, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, romanzo ‘difficile’ e stilisticamente arduo, che ebbe una interessante trasposizione cinematografica con Pietro Germi e il suo Un maledetto imbroglio. A costo di apparire blasfemo, però, metto bene in chiaro che la Roma di Stassi è assai più riconoscibile, meno metaforica e dotata di un robusto ancoraggio al presente. Non sto confrontando Stassi con Gadda. Ci mancherebbe. Dico solo che la mia indagine sulla letteratura degli spazi urbani trova in Ogni coincidenza ha un’anima una pregevole guida. Non saprei dire quanto voluta dall’Autore.

C’è poi da analizzare il problema del protagonista. Si chiama Vince Corso, biblioterapeuta con studio e abitazione in via Merulana. Un intellettuale schivo – che fuma disgustose e troppo letterarie sigarette francesi e mi pare beva troppe birre – e timido che cura le diverse e bizzarre patologie della mente prescrivendo la lettura di determinati libri. In realtà, Vince non è un medico dell’anima o, meglio, non è solo quello. Egli è un detective in piena regola che si addentra nei misteri della sua magnifica ossessione: i libri. Libri sempre e ovunque, sparsi in ogni dove, protagonisti assoluti (con Roma) della storia di Stassi. Il quale, ma non chiedetemi perché: non sono riuscito a capirlo, non fa del dottor Corso un personaggio seriale. Infatti, Vince lo abbiamo  già visto protagonista in La lettrice scomparsa (premio Scerbanenco 2016), romanzo fra i migliori dello scrittore romano (Stassi, per inciso, raggiunge le alte vette letterarie col romanzo d’esodio Fumisteria, mentre viene consacrato e livello internazionale con L’ultimo ballo di Charlot tradotto in diciannove lingue che, peraltro, a me non ha mai convinto del tutto).

Questa volta, tra i ‘pazienti’ che si presentano in via Merulana, ce n’è una che ha sessant’anni, è bella e si chiama Giovanna. Chiede aiuto a Vince perché il fratello, raffinatissimo intellettuale e accanito collezionista di libri e viaggi, roso dall’Alzheimer, da un po’ di tempo ripete frasi spezzate, in apparenza prive di logica. Giovanna vuol capire da dove vengono queste parole, da quale opera letteraria per provare a restituire al fratello un’identità perduta. In realtà, la richiesta della sorella è meno dettata da amor parentale di quanto appaia a prima vista. Ma di più non sto a dirvi. Sappiate solo che fondamentali sono le parole ‘memoria’, ‘ricordo’, ‘nostalgia’ (anche laddove è chiaro il tentativo di Stassi di porre fine a un lutto personale mai veramente elaborato per la morte di un amico scomparso “chissà dove, insieme alla speranza dei nostri vent’anni”). Di biblioteca in biblioteca, di strada in strada, Vince svelerà l’arcano – ma non tutto, se ho ben compreso – con un finale che, nonostante tutti affermino il contrario, resta aperto.

A proposito del razzismo cui accennavo poche righe fa, Stassi rende benissimo le lugubri atmosfere che viviamo in questi anni. Scena di violenza urbana, scontri di piazza e l’idealtipo del razzista che odia i migranti perché “scippano, spacciano, violentano pure le vecchie, non li legge i giornali? Siamo i guerra, l’aveva capito?”. Vince darà anche a lui un libro. Con, è ovvio, scarsi risultati.

Non manca l’amico di sempre, il libraio che lo aiuta con distaccata saggezza. E non manca l’amica bibliotecaria, che solo amica non è, e Feng, lettrice di cinese all’Università, tutto sommato la figura meno riuscita del romanzo (il momento dell’amplesso dopo le cariche della polizia è comico).

Come sempre, molto altro ci sarebbe da scrivere su questo gioiellino letterario. Però, basta così. Andate, appena lo vorrete, a trovare Vince Corso. Il biblioterapeuta di via Merulana.

LA FRASE PIU’ BELLA (NON LA PIU’ VERA…)

Ma anche le città si ammalano di oblio, e in quella dove vivevo la mano del tempo aveva mischiato tutte le piste possibili.

FABIO STASSI, Ogni coincidenza ha un’anima, Palermo, Sellerio, pp.279, 14 euri