Chiamala crisi della media borghesia.

Chiamala poetica dei sentimenti.

Chiamalo ritratto di famiglia in un interno.

Chiamalo come vuoi, ma l’ultimo romanzo di Domenico Starnone (Confidenza per i tipi di Einaudi) è il racconto della vita di un intellettuale attraverso tre voci narranti: Pietro (il protagonista), la figlia Emma; Teresa, l’amore vero. Sì, perché su quest’ultimo punto bisogna capirsi subito anche se potrebbe apparire osservazione banale e già esplicitata molte volte su questa rubrica. Teresa è il vero amore della vita di Pietro. Un tipo vivace, diciamo così, disinibito, insomma, inutile girarci attorno, molto affascinante. E la sua figura è ben presente in tutte le pagine del romanzo, con lo spiazzante finale che, ovvio, non vi racconto. Ciò detto, Piero sposa Nadia, la morbida e insieme spigolosa Nadia, ha tre figli (tra cui una, Emma, morbosamente affezionata al padre), raggiunge un notevole successo professionale con la pubblicazione di libri di successo incentrati (e qui il riferimento autobiografico è evidente) sui problemi della scuola e su tutte le polemiche, anche aspre, che ne scaturiscono.

Gli anni passano, ma la vera preoccupazione, il tarlo che corrode l’animo di Pietro è Teresa. Meglio: il giuramento fatto con Teresa: raccontarsi “la cosa più di cui ti vergogni di più” per suggellare un patto di complicità eterno. In realtà, che cosa si siano confessati i due non è dato sapere, ma, se ho ben capito, non sono cose poi così tremende.

Altro aspetto fondamentale del romanzo (che dovete assolutamente leggere) riguarda la necessità, specie per Pietro e Teresa – a dimostrazione di come il detto “Dio li fa e poi li accoppia” sia calzante più d’ogni altra cosa – di dimostrare di essere nel giusto, senza ostentazione, ma in base a un calcolo preciso. Non è cinismo, ma l’umano divenire delle cose. Sapendo che ”il peggio” si nasconde a pochi passi, come recita la quarta di copertina. E se “lo sguardo degli altri è la nostra ossessione” (vero, verissimo), bisogna sottolineare come spesso (anzi: sempre) questa ossessione non ha basi reali bensì solo nevrosi accumulate nel corso degli anni. Che, prima o poi, se ne vanno perché lo scorrere del tempo è inesorabile. E allora: ne è valsa la pena? Chiedetelo a Teresa. Nell’ultimo capitolo c’è la ragione fondante del romanzo. Tutto, insomma, finisce. Ed è bene non perdere tempo, difendendosi (pensando di difendersi) da pericoli inesistenti, creati ad arte dalla mente per nascondere la fatica di vivere. Perché la vita è faticosa. Molto. Ma se c’è la letteratura…