“Sono arrivato a un’età in cui il tempo sembra ed è irrecuperabile”. Tredici parole danno l’idea della ‘missione’ del romanzo che vi propongo oggi: La tregua di Mario Benedetti, In questo periodo leggo spesso e volentieri lo scrittore uruguaiano. E, tutte le volte, resto a bocca aperta. Di più: mi emoziono come raramente mi succede. Già per Impalcature vi avevo confessato il mio entusiasmo per questo campione della narrativa latinoamericana che ci ha lasciati nel 2009 e, con queste noterelle, lo riaffermo con forza.

La tregua (il significato del titolo si comprende solo alla fine e non ve lo posso dire) narra di Martín Santomé, dirigente pubblico che sta per compiere cinquant’anni e che sta per andare in pensione. Martín ha tre figli: una femmina (Blanca, affettuosa, innamorata del padre, colta) e due maschi (Jaime ed Esteban, non proprio campioni di simpatia, problematici, per certi versi irritanti).

Sullo sfondo, Isabel, moglie di Martín, morta, giovanissima, vent’anni prima. La sua presenza si sente. Però non si vede. Martín fatica, se non in un sogno, a ricordarne il fisico, a sentire le sue antiche carezze, il sapore del suo amore (forse perché lo facevano sempre al buio?).

Poi, chiave di volta di queste pagine commoventi, c’è lei, la giovane Avellaneda, Laura Avellaneda, 24 anni. Assunta come impiegata pochi mesi prima della pensione di Martín, non è particolarmente bella, è sensibile, timida, dolcissima. L’uomo è all’apparenza un grigio funzionario. In realtà, leggendo il suo diario (che è poi la forma del romanzo) si scopre un “lui” che rinasce, che dispiega di nuovo le vele della vita innamorandosi di Avellaneda. Un amore davvero puro, cui lei cede a piccoli passi, affascinata da questo cinquantenne gentile che ha il merito di affrontare il mestiere di vivere (il lavoro più faticoso che esista: banalità estrema eppure realtà assoluta) con serena consapevolezza dei propri limiti e certa cognizione, per dirla con Svevo, che la vita non è bella né brutta, ma originale.

Le pagine di Benedetti ruotano, all’apparenza, tutte su un quesito: che cosa farà il protagonista dopo essere andato in pensione? Se lo chiede lungo i viali, le strade, le piazze della magnifica Montevideo. Una città che avvolge i suoi cittadini con calma affettuosa, col suo sole, il suo vento, le sue piogge fini e insistenti, che fa da teatro all’amore tra il protagonista e la ragazza.

Molto toccanti le riflessioni sul tempo che passa. Che corre. Che è inesorabile. Infatti, quello “che desidero oggi – scrive il protagonista in una delle sue pagine di diario – è assai più modesto di quel che desideravo trent’anni fa e, soprattutto, mi importa assai meno di ottenerlo”.

Molto bello (e vero) anche il dialogo con il vecchio compagno di gioventù (che all’inizio non riconosce). Un tipo sgradevole, che attacca bottoni noiosi e irritanti e che, a un certo punto, gli chiede: e tua moglie? Morta, risponde Martín. E l’amico così, imbarazzato, si affretta “a finire il terzo caffè, poi ha dato un’occhiata all’orologio. C’è una sorta di riflesso condizionato nel parlare di morte e sbirciare subito dopo l’orologio”. Pensate a quanto è vera questa osservazione.

Mi fermo e vi raccomando di comprare e leggere questo romanzo di Benedetti (anzi, leggeteli tutti). Ve la cavate con 15 euro, in fondo, e ne uscite sicuramente in preda a sentimenti forti.

PS Complimenti alla casa editrice Nottetempo. La sua forza è la qualità. Di questi tempi non è poco. Bravi.