E bravo Giancarlo. Mi permetto questo tono confidenziale con il dottor Gonizzi, parmigiano, grande esperto di beni culturali e industria alimentare, storico locale e via virtù elencando perché la sua ultima fatica (Il vino di Garibaldi. Alla ricerca di un mito fra Parma e Caprera”, Wingsbert House, euro 10) mette davvero di buon umore. Un po’, appunto, come un bicchiere di vino (o, magari, più di uno). Se al nettare degli dei, poi, unisci uno dei personaggi che hanno fatto della propria vita un inno alla libertà dei popoli come Giuseppe Garibaldi, il risultato positivo è assicurato. Ma non è finita. L’Autore riesce in un’impresa tutt’altro che facile. Coniuga romanzo e saggio. O meglio, fornisce, con note godibilissime, le “pezze d’appoggio” alla sua narrazione.

Tutto nasce da una frase attribuita a Edoardo VII: “Il vino non si beve soltanto, si annusa, si osserva, si gusta, si sorseggia e… se ne parla”. Così doveva pensarla anche l’Eroe dei Due Mondi. Perché, arrivato a Maiatico nel parmense, si innamora della Malvasia sino a volerne dei tralci (ci perdoni Gonizzi se il nostro è linguaggio un po’ rozzo) da piantare nella sua sassosa Caprera. La Malvasia, quel vino bianco-ambrato probabilmente originario della Grecia, precisamente di una città distante cento chilometri da Sparta, “un porto al quale facevano scalo le navi francesi e veneziane dal secolo XIII al XVIII”. Navi che venivano caricate con barili di quell’ottimo vino.
Gonizzi immagina che un gruppo di garibaldini si riunisca nel 1902, vent’anni dopo dalla morte del Generale, attorno a una bottiglia del 1861 e rievochi una memorabile serata. Una serata in cui Garibaldi non parlò d’Italia e di politica, ma di Malvasia. Un Garibaldi che si fece spiegare, con dovizia di particolari, le tecniche di produzione, gli effetti del vino, le caratteristiche del territorio e molto altro ancora. Un Garibaldi, insomma, che ascoltava, come sempre in vita sua. Che ascoltava le storie enologiche come il dolore degli oppressi. O che si entusiasmava dopo aver raccattato una conchiglia ai piedi dei calanchi.

Attorno a lui protagonisti del Risorgimento come Gian Lorenzo Basetti, medico, politico per nove legislature, ma soprattutto volontario a Bezzecca, Mentana, Monterotondo, in Francia. Sempre a fianco del suo Garibaldi. Sempre in camicia rossa. E ancora, l’”irregolare” Cornelio Guerci, deputato per cinque volte, scherzoso e protagonista di celebri duelli, grandissimo oratore (persino la regina non voleva mai perdersi i suoi discorsi), profondo conoscitore dell’agricoltura. Per non parlare della bella Maria Teresa Giulia Trecchi, coltissima donna del Risorgimento amica di Cavour, Mamiani, Gioberti e, ovviamente, Garibaldi. Oppure del fratello Gaspare, già nella Legione straniera in Africa, trait d’union tra il re e il Generale, ruolo talmente delicato che, alla morte nel 1882 (quattro mesi dopo l’Eroe dei Due Mondi), tutte le sue carte furono portate via dai “servizi segreti” di Sua Maestà.
Di più non scrivo, vi consiglio di correre in libreria a comprare il volume. Di leggerlo. Con spirito di…vino.

PS Siccome non voglio essere esageratamente elogiativo, segnalo l’errore. Nella cronologia sulla vita di Garibaldi c’è scritto che conobbe Mazzini e Cuneo nel 1833. Vecchia storia. Ampiamente smentita dalla storiografia.