Dottor Carofiglio, lei scrive gialli, tra l’altro. E l’estate è la stagione del giallo. Perché il delitto affascina così tanto in questa stagione?
«Il delitto incuriosisce e affascina in generale; poi certo in estate si legge di più perché c’è più tempo a disposizione. Credo che i gialli e i noir siano i libri più letti d’estate perché in realtà sono i libri più letti tutto l’anno».
A proposito di fette di mercato. Ormai la crime story è vincente sui banchi delle librerie e non solo. Dato strutturale o moda?
«Un dato strutturale, direi. Il noir si presta a diverse declinazioni: dal romanzo di pura evasione alla narrazione letteraria».
Ma non si pubblica troppo?
«Diciamo che si pubblica tanto e che non tutto è di altissima qualità. Per dirla tutta con chiarezza: in giro c’è un sacco di brutti libri. Ma le dirò una cosa che la stupirà».
Che cosa?
«Molto meglio leggere un libro scadente che non leggere affatto. La lettura di libri di puro consumo è comunque un passatempo più che legittimo Quando si parla di lettura meglio la bassa qualità che il nulla. Il che non significa non si debba cercare di offrire libri di alta qualità anche al grande pubblico».
Come la sua «Versione di Fenoglio». Duecentomila copie, nella top ten delle classifiche da venticinque settimane…
«Ovviamente sono contento, ma anche un po’ stupito. Nessuno se lo aspettava, un risultato di queste proporzioni».
L’editore, Einaudi, sì.
«Ma no. Davvero, anche l’editore è rimasto stupito di queste proporzioni».
E non è nemmeno un romanzo giallo. O meglio: ci sono tracce di poliziesco.
«I piani narrativi sono tre. Il primo: è un romanzo di dialogo. Un anziano maresciallo e un ragazzo si conoscono in una situazione inattesa. Diventano amici e da questa amicizia deriva una nuova visione della vita, per entrambi. Poi, ci sono le storie investigative che il maresciallo racconta al ragazzo. Infine, terzo aspetto, c’è una riflessione anche teorica sull’investigazione come paradigma del rapporto complesso che intercorre tra verità e conoscenza».
La memoria come elemento essenziale della sua vena narrativa.
«‘Credo di sì. La memoria è essenziale in quello che scrivo».
Come nelle «Tre del mattino», ambientato a Marsiglia.
«Ho scritto quel romanzo sulla base di fatti realmente accaduti a un amico che me li ha raccontati. Poi naturalmente io ci ho scritto un romanzo, cioè un’opera di finzione. Anche se poi uno dei personaggi, il celebre medico che guarisce il protagonista, è indicato con il suo vero nome: Gastaut».
Ci sveli qual è il suo laboratorio.
«Mi dispiace, ma non ce l’ho, un laboratorio».
Allora mettiamola così: qual è il suo approccio alla scrittura? Non dica che scrive di getto…
«Comincio a scrivere un romanzo sapendo da dove nasce, chi sono i protagonisti principali e dove va a
finire la storia. Date queste premesse: scrivo».
Ma ci sarà un arco spazio temporale nel suo lavoro.
«Sono come le chiocciole. Quello che lei chiama laboratorio me lo porto dietro. Non sono capace di lunghe concentrazioni. E quindi ho sempre con me il necessario per scrivere e scrivo negli spazi che si aprono tra un impegno e l’altro. Esempio: ieri ho scritto in aeroporto, mentre aspettavo un volo».
I luoghi privilegiati della scrittura?
«La mia mansarda nella villa che ho in Puglia oppure nella mia casa di Roma».
La regola d’oro del suo essere scrittore.
«Come diceva George Bernard Shaw, ‘la regola d’oro è che non esistono regole d’oro’. Direi comunque che le fasi della mia scrittura sono due: la prima è quella delle scrittura fatta anche di associazioni libere, come diremmo con linguaggio psicoanalitico. La seconda è quella di revisione. Sfrondo, tolgo, aggiungo. La prima è più emotiva, la seconda più razionale».
Si emoziona quando scrive?
«Certo. Per questo nella prima fase, tento di non far intervenire il censore interiore.».
Scrittore, magistrato antimafia, parlamentare. Ho letto anche che ha conquistato la cintura nera sesto dan di karate. Ma quante ne fa?
«(sorride) Ah sì, il sesto dan è stata una grande soddisfazione.».
Perché il karate?
«Ero un ragazzo timido e pauroso. Volevo imparare a difendermi. Poi ho imparato alcune cose più importanti della semplice difesa personale».
Quindi se la fermano per la strada è tranquillo.
(risata) «Mi fermano i lettori e chi mi vuol parlare di politica. Anche se non condividono quel che dico. Non mi fermano per cercare di picchiarmi. Non più».
Le arrivano lettere?
«Sì, lettere di carta dai lettori più anziani. Lettere allegate alla mail dai più giovani. Leggere quello che scrivono i ragazzi mi fa particolarmente piacere, mi da un senso di fiducia nel futuro».