​Siamo alle solite. Il dramma infinito, degno dei romanzi di appendice di fine Ottocento, che attraversa la storia della sinistra italiana, è facilmente declinabile con la parola “divisione”. Quante volte, fino alla noia, si è letta la frase “pesano le divisioni a sinistra”? Tante, troppe. Con conseguente ricerca dei responsabili. In particolare ci si è accaniti verso una delle figure più rappresentative della storia dell’Italia repubblicana: Bettino Craxi, il leader socialista morto in Tunisia nel 2000. Il leader socialista che diede nuovo lustro al Psi, in perenne lotta contro le chiese politiche del tempo, la democristiana e la comunista. Il leader socialista che, primo nella storia, si insediò a Palazzo Chigi, portando l’Italia a livelli di benessere degni del famoso boom degli anni Cinquanta. Una delle cose che maggiormente lo faceva arrabbiare era l’esser bollato come il principale responsabile della mancata unità tra socialisti, comunisti e sinistra laica. Così come perdeva la pazienza quando veniva accusato di aver condotto una vita sfarzosa.
Questo i fili conduttori dell’ultima fatica di Paola Sacchi, già reporter dell’‘‘Unità” che manda in libreria il suo “I conti con Craxi” (prefazione di Stefania Craxi, Male Edizioni). Un libro che ripercorre la vita politica ma soprattutto umana dello statista socialista. Pagine preziose perché, si condivida o meno la tesi di Sacchi, scritte da una giornalista ex comunista che ebbe un lungo rapporto con Bettino (unica nota stonata il giudizio negativo su Massimo D’Alema, che, al di là delle polemiche degli anni Ottanta, tentò di fare qualcosa per l’uomo che sognava di tornare in Italia).
Craxi era stato chiarissimo con l’allora leader del Pci/Pds Achille Occhetto: «Achille, quando io parlo di unità socialista faccio sul serio, comincia a preparare l’ipotesi di una federazione tra i nostri due partiti». Altro elemento da sottolineare è la domanda – che, con frase abusata, si potrebbe definire “un fiume carsico” – di fondo delle pagine della Sacchi: «Sta davvero cadendo il muro del tabù di ‘Bettino’ e, almeno per il ventennale della sua drammatica morte lontano dall’Italia, ci sarà ‘Via Craxi’ nella sua Milano?». Domanda di strettissima attualità, cui il primo cittadino Giuseppe Sala ha dato una risposta interlocutoria, ma, comunque, di cauta apertura. I paletti di discussione del saggio sono moltissimi. Ovviamente impossibile anche solo elencarli tutti. Assai interessante la riflessione sul Craxieuropeista che previde lucidamente i rischi cui andava incontro un’Europa della moneta e non dell’unità politica. Oppure la profonda passione per la politica internazionale che vide il leader socialista schierarsi a fianco di Salvador Allende (vittima del boia Pinochet nel Cile del 1973) o dei sindacati polacchi in lotta contro il regime a comunismo reale. O, ancora, la giusta constatazione di come Craxi rimase politico a tutto tondo per la vita intera. Sino alle monetine lanciate il 30 aprile 1993 davanti all’hotel Raphael da ex-fascisti ed ex comunisti. E se ci appare improbabile che i principi fondanti di Forza Italia vadano cercati nel pensiero e nell’azione di BettinoCraxi, molto interessante è la disamina sulla consapevolezza dell’ex presidente del Consiglio che il sistema dei partiti, di quei partiti che avevano insegnato a leggere e a scrivere al nostro Paese, fosse crollato sotto i colpi della magistratura. Chissà, si chiede la giornalista, che cosa sarebbe successo se Bettino avesse potuto riabbracciare l’Italia. Impossibile saperlo. Certo, avrebbe ridato rappresentanza a un’area socialista, ancor’oggi divisa come non mai. Lui, che dell’unità socialista aveva fatto una ragione di vita. E che, a un amico giornalista, poco dopo l’aggressione del Rapahel, disse scuotendo la testa: «Scusatemi per quelle monetine»…