Bello, bravo, brillante e simpatico. Quattro aggettivi, in rigoroso ordine alfabetico che riassumono la persona e la personalità di Emanuele Lambertini, 20 anni, studente di ingegneria (iscritto al secondo anno), campione di scherma e più giovane atleta ai Giochi di Rio de Janeiro, nell’ormai lontano 2016.
Segni particolari? Ah, sì. Gli manca una gamba. Quella destra, amputata quando aveva solo 8 anni, perché una malformazione vascolare, dalla nascita, ne metteva in dubbio l’esistenza, ogni giorno. Alla fine l’intervento – in realtà era un semplice tentativo, i medici francesi non avevano la certezza che l’amputazione sarebbe servita allo scopo – e la rinascita. Da quando ha 8 anni, quindi, Ema (gli amici, ma anche mamma Laura e papà Fabrizio, lo chiamano così) vive la sua condizione che, per il nostro mondo, è quella di “disabile”, handicappato. O, come dice lui ridendo, storpio.
All’aeroporto Marconi di Bologna, davanti all’amministratore delegato di AdB Nazareno Ventola, al direttore sviluppo persone e organizzazione di AdB Marco Verga e all’assessore al lavoro e alle politiche per il terzo settore del Comune di Bologna, Marco Lombardo, Ema ha dato una lezione di vita straordinaria.
C’erano diversi dipendenti dell’aeroporto, c’erano due dei quattro nonni di Ema – nonno Lauro e nonna Rosanna -, c’era tanta gente.
Tutti commossi, con le lacrime agli occhi e quel famoso magone, in gola, che non sai mai se va su o giù.
Ma tutti felici, perché dall’incontro di Ema – a proposito, oltre che un asso del fioretto e un fenomeno anche al pianoforte, un po’ Allevi un po’ Einaudi – siamo usciti tutti più forti. Tutti più felici. Tutti più pronti a combattere.
Perché Lambertini, che usa la protesi come fosse un trofeo – la mostra, giustamente, orgoglioso – a dispetto della giovane età, ha una maturità e una saggezza fuori dal comune.
“I veri disabili – le sue parole – non sono quelli che hanno difficoltà a camminare. Sono quelli che non sanno sorridere. Perché la vita è bella”.
E ancora: “C’è uno spartiacque a un certo punto. Da una parte la speranza, dall’altra la disperazione”. E cosa abbia scelto Lambertini, che pure ha conosciuto la disperazione, è chiaro: la speranza. “Perché finché c’è vita c’è speranza”.
Ema che usa la protesi – “ho il brevetto”, se la ride – per l’approccio con le ragazze. Sì, proprio così, come ha raccontato nella Marconi Business Lounge in occasione della Giornata Internazionale delle persone con disabilità. “Una volta in discoteca vidi una ragazza molto carina, insieme con alcuni amici. Non sapevo come approcciarla. Alla fine, mi sono fatto forza e mi è venuta un’idea. Sono andato là e ho lanciato una scommessa. Se faccio una cosa che non sei in grado di ripetere, mi regali un bacio”.
Ema si è smontato la protesi e se l’è messa in testa. La ragazza ha sorriso e l’ha baciato. Una favola? Forse. Il fatto è che ascoltando Lambertini è come trovarsi a confronto con un fratello maggiore, un confessore, un papà, un professore. Qualcuno, insomma, capace di trovare il lato positivo e la forza di andare avanti.
Chiaro che anche lui abbia difetti e momenti di sconforto, ma è il sorriso e la semplicità con cui si racconta che lascia senza difese e, per questo, più pronti ad accettare le sue sfide e le sue provocazioni.
Sapete perché ha scelto ingegneria dell’automazione? Perché vuole migliorare la sua protesi – “magari ci faccio anche un attacco per la chiavetta usb” – perché vuole perfezionare il futuro di chi verrà dopo di lui. Sogna le carrozzine decapottabili – “perché l’ombrello per uno che si muove in carrozzina è un problema” – è una sorta di personaggio a metà tra Marty McFly e il dottor Emmett Brown. Un po’ ragazzo pronto per il futuro, un po’ scienziato pazzo (nel senso buono del termine) capace di progettare il futuro (per chi ha visto Ritorno al futuro).
“Mi chiamano storpio, handicappato o disabile. Ma la cosa che mi offende in realtà è quando mi dicono poverino. Io devo fare qualcosa per cambiare il mondo”.
Un vulcano di idee e di energia, Ema, che tira sia per le Fiamme Oro sia per la Zinella Scherma della maestra Magda Melandri, con la quale è cresciuto in modo esponenziale. Dobbiamo accompagnarlo, Lambertini, passo dopo passo, verso i Giochi di Tokyo. Perché se dovesse arrivare l’oro nel fioretto paralimpico la sua favola sarebbe perfetta. Ma anche se non dovesse arrivare l’oro o un podio, la sua storia umana rasenta la perfezione. Perché Ema è un concentrato di energia che riesce a trasmettere al prossimo la sua straordinaria esuberanza. Comunque vada a finire a Tokyo, numero uno. Per sempre.