Ronny Cedeno, 33 anni, è il nuovo interbase della Fortitudo UnipolSai Bologna. Fin qui, nulla di strano: se non che, curriculum alla mano, scopriamo che il venezuelano in questione ha giocato 875 volte nella Major League. E’ rimasto, dieci anni, nel top del batti e corri mondiale, nella culla di questo sport che, da noi, sta cercando di riemergere, non senza qualche problema. Un fenomeno della difesa, uno capace di fare la differenza sempre e comunque.
Fin qui, nulla di strano, anzi, applausi alla Fortitudo e al suo direttore sportivo, Christian Mura, che hanno approfittato di un rifiuto inatteso (Carlos Colmenares aveva già firmato il contratto con la società di Stefano Michelini prima che, per vari motivi, ci ripensasse) per portare al Gianni Falchi un asso di questo sport.
Come in tutte le operazioni di un certo spessore, si aprono le discussioni: farà la differenza veramente? O avrà scelto semplicemente l’Italia e, nella fattispecie Bologna, per regalarsi una vacanza? Posizioni che vanno accettate a prescindere, perché c’è libertà di pensiero e di giudizio. Ma, per evitare malintesi, ecco la nostra idea: la Fortitudo ha fatto bene.
Dopodiché è più che comprensibile la posizione di chi ha dubbi. Di chi, magari, ipotizza che il venezuelano abbia semplicemente deciso di svernare.
Ora, al di là di quello che sarà il rendimento di Cedeno (alzi la mano chi, ora, ha la sfera di cristallo per capire l’impatto che il giovanotto avrà sul nostro campionato), l’operazione andava fatta.
Perché portare un campione a Bologna significa uscire dai nostri confini. Dare maggiore visibilità al nostro campionato. Magari aprire una strada più grande verso la Major League. Perché Cedeno è uno che, palmares alla mano, potrebbe portare più gente al Gianni Falchi. Potrebbe incuriosire anche chi non conosce il baseball per avvicinarsi a questa disciplina.
I dubbi, invece, possono essere legati alle capacità di adattamento. Uno che fino a ieri era abituato ai professionisti a stelle e strisce sarà capace di integrarsi con i dilettanti (detto con il massimo rispetto possibile) di casa nostra?
In fondo è come passare da un lussuoso hotel a una pensione. Una pensione pulita, linda, dove si mangia bene, ci si diverte. Ma non ha gli optional dei cinque stelle (inteso come albergo, non come movimento politico).
Fermo restando che, talvolta, magari, i cinque stelle (sempre gli alberghi) possono rivelarsi delle realtà non all’altezza.
Quale sarà l’impatto di Cedeno? Ah, saperlo, saperlo. Sicuramente uno come Gigi Sato, il giapponese di qualche anno fa, aveva avuto un ottimo approccio. Poi, a un certo punto della stagione, aveva sbroccato, riservando il massimo degli sfregi alla Fortitudo. Prendendo la divisa e buttandola in un bidone.
Diamo un’occhiata a quello che è accaduto nel basket. La Virtus, qualche annetto fa, riuscì a mettere le mani, grazie anche al lockout Nba, su una prima scelta assoluta, Michael Olowokandi. Sulla carta un fenomeno, uno che avrebbe dovuto spaccare le partite. In realtà, statistiche alla mano, un mezzo bluff (aveva visto lungo il professor Grandi, il compianto preparatore atletico bianconero che aveva subito sentenziato: “Uno con quelle ginocchia lì, va poco in là”). Ma, sempre restando in casa Virtus, che dire, invece, di grandi scommesse vinte anche sotto il profilo comportamentale? Tom McMillen, uno che aveva giocato le Olimpiadi a Monaco (ma non ricordategli il risultato, perché ancora rifiuta l’argento per il contestato finale con l’Urss) finì per segnare 31 punti di media (aggiungendoci pure 17 rimbalzi) lavorando al PalaDozza e studiando, nei primi giorni della settimana, a Oxford. Che dire, poi, di Jimmone McMillian? Veniva dalla Nba, aveva un lato B che, per dimensioni faceva provincia. Eppure, senza tante arie da prima donna, ci insegnò l’arte della difesa senza picchiare. Un califfo capace di annullare sul campo Bob Morse e Drazen Dalipagic, Mirza Delibasic e, più in generale, qualsiasi guardia o ala che avesse trenta punti nelle mani. Con Jimmone non c’era scampo. E lì, per la prima volta, abbagliati dai bomber e dai cannonieri, capimmo che senza la difesa non si va da nessuna parte.
E allora? E allora la Fortitudo (che ha fatto benissimo a concludere questo tipo di operazione, lo ripetiamo) può giocare anche l’asso. O meglio: gli assi. Claudio Liverziani, Alessandro Vaglio, Juan Carlos Infante, Riccardo De Santis hanno le spalle larghe. E pure l’esperienza e la capacità di spiegare a Ronny quanto siano belle la Fortitudo e Bologna. Che forse non sono un albergo a cinque stelle, ma sono due realtà solide nelle quali giocare e divertirsi. Nelle quali giocare seriamente, facendo vedere il proprio talento. Senza scambiare le Due Torri per un villaggio vacanze.
Comunque vada a finire, la Fortitudo, la “Coppa dei Campioni” della comunicazione e dell’immagine l’ha già vinta. Non conta nulla, è vero, ma è un buon punto di partenza.