Lo confesso, non ho visto le sue imprese più eclatanti perché quando vinceva il Passatore, gli sport di riferimento erano la pallacanestro e il calcio con una spruzzata di baseball e un po’ di sci. L’atletica, in quegli anni, per me erano Mennea e Sara Simeoni, della fatica, mostruosa, che faceva Vito Melito mi arrivava solo un’eco lontana. Ho avuto, però, la fortuna di conoscerlo negli ultimi vent’anni, con il suo slang campano, che non era cambiato e che lo rendeva ancora più simpatico e accattivante. Una grande passione, quella per le lunghe distanze, di Vito. Una passione per l’atletica che non si era spenta nemmeno quando, per limiti anagrafici, aveva abbandonato lo sport affrontato in prima persona per un ruolo diverso.
Se c’era una gara di un certo livello, Vito c’era. Se quella gara non c’era, allora Vito si ingegnava per organizzare, promuovere. Per cercare nuovi talenti. Perché l’atletica è qualcosa che ti resta dentro e non ti abbandona mai. Ecco perché un personaggio del calibro di Vito Melito mancherà non solo all’atletica leggera nel suo complesso ma anche alla Bologna sportiva. Ci mancherà, con una certezza, però. Il suo esempio continuerà a guidarci e, speriamo, a farci correre (metaforicamente) sempre più lontano.