Ciao Francone. Sì, a 82 anni, se n’è andato Franco Janich, il libero del Bologna dell’ultimo scudetto. Il baluardo. Mi permetto per la prima volta, di passare al tu, perché Franco aveva un’espressione gioviale che metteva di buon umore.
Come solo uno zio – un ottimo zio mi viene da dire – è in grado di regalare.
Non l’ho visto giocare in maglia rossoblù perché smise, con il Bologna, nel 1972 e io, la prima partita, all’allora Comunale, l’avrei vista solo un anno più tardi. Però Francone era e resta uno degli immortali. Una delle figurine più ambite. Perché aveva giocato nel Bologna dello scudetto. Perché aveva quell’iniziale “J” che lo rendeva misterioso. E il finale, “ch” ancora più magico. Quasi fosse uno straniero, per un bambino (quale ero) che si affacciava al mondo.
Giocava libero in un calcio tanto antico quanto nobile. Giocava libero quando il libero era davvero l’ultimo “baluastro” (cit. Stefano Benni) della difesa e non varcava mai, o quasi, la linea di centrocampo. Tante partite, mai un gol. Eppure Franco, anzi, Francone detto l’Armeri (che tradotto dal dialetto significa l’Armadio), sapeva riderci sopra.
Mai visto con la maglia rossoblù in campo. Però ho avuto la fortuna di conoscerlo in una delle stagioni più disgraziate del Bologna degli ultimi trent’anni. Era ormai il Bologna di Casillo, che sarebbe poi precipitato in serie C portando pure i libri contabili in tribunale.
Eppure, in una stagione così disgraziata, Francone non seppe dire no al richiamo del sangue, del suo Bologna.
La squadra – la società non esisteva praticamente più – stava precipitando. A Francone non riuscì il miracolo (così come a Romanino Fogli, richiamato in panchina per provare a ovviare a problemi creati da altri), ma gettò comunque le basi per la rinascita. Perché Janich – mai espulso in carriera, eppure era un calcio dove i difensori “randellavano” e i cartellini rossi non mancavano – trasmetteva sicurezza, entusiasmo.
Ricordo, da cronista, le storie che lui raccontava e si raccontava con Gianfranco Civolani ed Ermanno Benedetti. Pagine di un calcio eroico. Quasi favole che si ascoltavano in religioso silenzio. Perché Francone e i suoi aneddoti ti aprivano a un mondo magico. Unico. Un mondo dove il “dio” pallone era al centro dell’universo, ma non aveva ancora perso quell’umanità che lo rendevano unico.
Francone se n’è andato: per chi è abituato a giocare in difesa, sarà un problema non sentirsi più le spalle coperte dall’Armeri. Perché Janich, con quell’espressione alla don Camillo – qualche tratto comune con Fernandel se guardate con attenzione, c’è -, non è più qui a darci una mano. Ma le sue pagine, intese come le sue gare, e i suoi aneddoti, lo mettono sicuramente nella squadra degli Immortali.