Walter Bussolari, the Voice, i Giardini Margherita e un tempo che, purtroppo non potrà più tornare. Una visione negativa perché Walter ci ha lasciato anzitempo? La constatazione – dopo aver virtualmente abbracciato Fabiana, la figlia di Walter – dei fatti, perché il Playground, negli anni Ottanta e Novanta per chi, come me, amava (e ama) la pallacanestro era una sorta di Disneyland in miniatura. Per di più gratis. Al fresco dei Giardini Margherita anche se, ma questo accadeva solo a fine giugno, il campetto, oggi intitolato alla memoria di Gianni Cristofori, veniva preso di mira da sciami di formiche volanti.
Negli anni Ottanta e Novanta (almeno i primi) non esisteva internet e non c’era la rete. Per lo meno con la diffusione che conosciamo oggi.
E, Walter, aveva lo stesso peso e credibilità della radio e la televisione. Una volta, per accreditare una notizia, la si chiudeva con tono deciso: “L’hanno detto alla tivù. L’ho sentito alla radio”.
E ai Giardini Margherita, dove si davano appuntamento migliaia di persone (oggi in epoca Covid sarebbe impossibile), la voce e la verve di Bussolari davano vita a balle spaziali. Balle, ma credibili. Al punto tale che uno andava a letto, dopo una serata ai Giardini, convinto che il giorno dopo la Virtus avrebbe presentato Larry Bird. E la Fortitudo, ovviamente, avrebbe risposto con Magic Johnson.
Esagerazioni, certo, ma Walter era simpaticamente diabolico perché costruiva bene le notizie. E, in assenza di conferme (non c’era internet), i più finivano per crederci.
Era un po’ come la celebre pellicola di Fantozzi, nella scena che anticipa la visione della Corazzata Potemkin. “Girava voce che l’Italia stesse conducendo sull’Inghilterra per 20-0. E che uno dei gol fosse stato segnato da Dino Zoff di testa, su calcio d’angolo”.
Chi ha vissuto l’epopea di Dino Zoff sa che questo era impossibile. Però, ai Giardini Margherita, al Playground, l’impossibile diventava possibile. Talvolta persino reale. E Zoff, almeno ai Giardini, aveva davvero segnato di testa. Per noi dei Gardens.
Come quella volta che Claudio Crippa arrivò con una Bmw scura e, parcheggiando, disse: “Ho portato un mio amico. Può giocare?”.
Dalla Bmw uscì una montagna di muscoli: Mike Brown che allora giocava nella Nba. Favole che solo ai Giardini, negli anni Novanta, noi ragazzi di una volta, potevamo vivere.
Oggi, senza il microfono di Walter, e soprattutto con internet, non sarebbe più possibile. Buon viaggio, amico mio.