Diceva Agatha Christie che tre indizi fanno una prova. Se così fosse il futuro del baseball di casa nostra è quantomeno costellato di incognite (poco positive per la verità). Per lo meno per quello che riguarda il batti e corri di vertice. Il Premier12 è finito nel modo peggiore possibile. Intendiamoci, le sconfitte ci stanno, perché comunque era il confronto con il meglio del baseball mondiale. Le sconfitte ci stanno, però c’è modo e modo di perdere. E i volti dei giocatori, quelli che alcuni chiamano il linguaggio del corpo, non erano il massimo. Quasi sfiduciati. Come nel confronto, impietoso, con gli olandesi, nostri tradizionali rivali a livello europeo.
Primo indizio.
E il secondo? Il secondo è recente, recentissimo. Godo si è chiamato fuori. Niente Ibl, forse A federale se la richiesta del club romagnolo sarà accolta. Al di là del dispiacere nel perdere una piazza che negli ultimi dieci anni ha dato un bell’esempio, c’è un campionato che, per ora, è monco. Sette squadre. In attesa di capire se qualcuno (Novara) entrerà per pareggiare i conti. In attesa di comprendere se bisognerà fare i salti mortali per trovare una formula che metta tutti d’accordo.
Manca, per fortuna, il terzo indizio: quello che ci porterebbe a ipotizzare la presenza della prova peggiore. Ovvero che il baseball di casa nostra sia davvero in caduta libera. Ricette per risalire non ne abbiamo, perché non siamo in possesso della bacchetta magica. Però il buon senso dovrebbe guidarci sempre e comunque. E il buon senso dice che, per far breccia nel cuore di quelli che potrebbero essere gli appassionati, bastano, sulla carta, poche cose. Quali? Meno formule (cambiate tutti gli anni), ma una formula precisa da provare, sperimentare, per qualche anno. Perché cambiare sempre, tanto per cambiare, provoca smarrimento. Tre stranieri, no, forse cinque. Poi due partite, forse tre, che cominciano alle 20, poi alle 20,30. Poi chissà, alle 21. Tanti stranieri? Da che mondo e mondo – senza nulla togliere al ruolo dei fuoriclasse d’importazione – le tifoserie si sono sempre affezionate agli atleti di casa. A quelli capaci di rappresentare una piazza, un’idea, un valore, una maglia. Tanti (troppi) stranieri (come succede per il calcio, per la pallacanestro) forse serviranno anche per calmierare i prezzi. Ma non spingono la gente a diventare matta per il baseball. Riflettiamoci.