Sandrino Abbio ha chiuso la casa di Calderino, dove abitava da una vita, ha riempito mille cartoni ed è salito sulla sua auto. Lui, la moglie Valentina, i figli Andrea e Anna e sono partiti. Dal 2002, anno in cui si consumò il divorzio dalla Virtus (un litigio con Marko Jaric, qualche screzio con Ettore Messina, cose che succedono), non è la prima volta che Sandrino prende l’auto o l’aereo. E’ stato a Valencia e Granada, Livorno e Firenze.

E’ la prima volta, da tempo immemorabile, che Sandrino lascia Bologna, chiudendo casa sua, chiudendo una parentesi ventennale. Si, una storia di talento e di affetti nati nel 1994. Quasi per caso verrebbe da dire, perché Sandrino arriva in una Virtus che ha in organico Brunamonti, Coldebella, Danilovic, Moretti. E’ il quinto uomo, la “riserva” fissa.

Ci ha pure riso tante volte, Sandrino, pensando a quegli “ne” (non entrato) iniziali che lo avevano fatto diventare Abbione. Dinoccolato, movenze feline: lo ribattezziamo Tiramolla, come il fumetto di una vita fa, perché sembra potersi allungare a dismisura. Per il profilo, invece, è semplicemente Picchio. Lo scopriamo come giocatore, noi e tanti altri, durante le festività natalizie del 1994. La Virtus di Albertone Bucci ospita la Benetton Treviso. Coldebella è fuori combattimento, Moretti pure. Danilovic infortunato. Bucci non trema, Abbio nemmeno. Sandrino dice 33 (punti) dimostrando che l’acquisto di Alfredo Cazzola è azzeccato.

33 punti, tanta panchina. Mai una polemica. E’ perfetto per un gruppo. Parte dalla panchina, spacca le partite. Ci viene in mente soprattutto la gara-quattro della finale scudetto del 1998. Fortitudo sempre avanti, Virtus a un passo dalla sconfitta, ma in rimonta. Una tripla di Sandrino dà l’ultimo vantaggio alla Virtus, regalandole quella gara-cinque che sarebbe poi passata alla storia per il tiro da quattro di Danilovic.

Da cronista ricordo soprattutto l’intervista post-partita. Servizio d’ordine per evitare l’ingresso dei giornalisti negli spogliatoi (perché? anche noi non stiamo facendo il nostro lavoro?). Colpo di genio: mi metto la bandana sul volto, sembro un tifoso qualunque. Mi attacco al braccio di Abbio, finisco negli spogliatoi dell’allora PalaMalaguti. Sandrino Abbio si sdraia, stremato. Mi sdraio anch’io, taccuino aperto. E Sandrino comincia a raccontare.

Proprio così: ai tempi in cui gli uffici stampa sono molto meno rigidi (i giocatori si potevano intervistare liberamente, al massimo era lo stesso atleta che più o meno cortesemente ti faceva capire che non aveva nulla da dire) Sandrino è un oratore straordinario. Racconta, discute, disserta.

Poi diventa capitano, nel 2001 vince il Grande Slam. Un’altra bella storia. Ma non posso davvero dimenticare le mille interviste concesse, senza mai nascondersi. E soprattutto quell’intervista sdraiati, nel cuore del PalaMalaguti, raccontando una delle pagine più alte di BasketCity.

Quanto ci mancano i personaggi come Sandrino Abbio.